Neemia torna a Gerusalemme per ricostruire le sue mura
Neemia 2,1-8 | Neemia è angosciato per la condizione del suo popolo e della sua città. L’assenza delle mura significava una debolezza estrema di fronte a qualsiasi attacco del nemico. Ogni città era sempre munita di mura. Una città senza mura perdeva anche il suo senso di luogo di convivenza sicura. Nel libro dell’Apocalisse, sulla falsariga del libro di Ezechiele (Ez 48,30-35), la città santa che scende dal cielo, la Gerusalemme celeste, sarà circondata da mura: «È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli di Israele» (Ap 21,12). Comprendiamo meglio la preoccupazione di Neemia per una città che ha perso la sua sicurezza, che porta i segni della distruzione e della desolazione. Ma il suo proposito non è semplice: prima deve convincere il re persiano Artaserse, e questo gli risulta un’impresa facile. L’Impero persiano infatti, a differenza di quello babilonese, era…
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Esdra legge e spiega la Legge
Neemia 8,1-4a.5-6.7-12 | La lettura del «libro della Legge di Mosè» crea l’unità: «Tutto il popolo tendeva l’orecchio al libro della Legge». La lettura della Legge viene fatta su un luogo elevato, una tribuna, come nella sinagoga, perché la Parola di Dio possa essere ascoltata da tutti, ma anche affinché il libro sia visto. È bello vedere quanto avviene a chi ascolta la lettura del libro: innanzitutto, appena viene aperto il libro, tutto il popolo si alza in piedi, poi si inginocchia e si prostra in segno di venerazione e di devozione per la Parola di Dio. Questa pagina ci esorta a sviluppare una vera e propria devozione per il libro della Parola di Dio, per leggerlo e ascoltarlo in un clima di attenzione e di preghiera. L’autore sacro nota che l’assemblea riunita leggeva e ascoltava la lettura del testo e la spiegazione che veniva fatta. Fin da allora appare chiaro che per comprendere il libro della Parola di Dio non è sufficiente la lettura individuale. La Parola va…
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Il profeta parla all’assemblea
Baruc 1,15-22 | L’autore di questo piccolo libro che viene attribuito a Baruc, compagno e segretario di Geremia, apparteneva probabilmente a un gruppo di uomini spirituali devoti della Legge, i basidi. Essi non cessavano di sperare in un intervento salvifico diretto di Dio nella storia. La preghiera fiduciosa era la loro arma preferita. Sentivano con profondità il loro rapporto con l’intero popolo d’Israele e consideravano la triste situazione che il popolo viveva come una conseguenza dei peccati delle generazioni precedenti. Essi sanno di essere una minoranza, ma sono consapevoli di rappresentare davanti a Dio l’intero popolo. Non si sentono una élite lontana e distaccata. Per questo compiono una sorta di esame di coscienza facendo memoria delle grandi opere che Dio ha compiuto in favore del popolo di Israele. Il profeta sembra voler fare un esame di coscienza collettivo ricordando anche le colpe del popolo che ha disobbedito ai comandi del Signore. La situazione di…
Il profeta parla all’assemblea
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Miti e umili di cuore
Matteo 11,25-30 | Oggi celebriamo la festa di san Francesco di Assisi, ricordando la sua morte avvenuta nella notte del 3 ottobre 1226. In lui il Vangelo diventò lievito di fraternità universale. La pagina evangelica che la liturgia ci offre in questa festa riporta una delle preghiere di Gesù. È un ringraziamento di Gesù al Padre perché si è chinato sui piccoli, rivelando loro il mistero del suo amore che salva, un mistero nascosto da secoli e che neppure i sapienti avrebbero potuto comprendere se Dio stesso non lo avesse rivelato: Dio ha tanto amato il mondo da mandare il suo stesso Figlio per salvare gli uomini dal potere del male e della morte. Ed è piaciuto al Padre di salvare gli uomini partendo dai più piccoli e dai più deboli. È il «privilegio dei poveri», di cui parla la vicenda biblica sin dalle prime pagine e ancora oggi presente nella vita dei discepoli di Gesù. Papa Francesco non cessa di ricordarcelo con il suo stesso esempio. Proprio per questo ha scelto il…
Miti e umili di cuore
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XXVII del tempo ordinario
Ab 1,2-3; 2,2-4; Sal 95 (94); 2Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10 | «Fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido: "Violenza!" e non soccorri? Perché mi fai vedere l'iniquità e resti spettatore dell'oppres­sione? Ho davanti rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese» (vv. 2-3). Sono le parole iniziali del dialogo di Abacuc con il Signore. E’ un dialogo drammatico. Il profeta è sgomento nel vedere quanta rovina e distruzione sta portando la guerra scoppiata tra i due grandi imperi del tempo, quello Assiro che stava perdendo il potere e quello Babilonese che stava invece emergendo, mentre Israele subiva anch’egli le conseguenze drammatiche del conflitto. Il profeta davanti a tanta distruzione grida: “fino a quando”! E’ come se volesse scuotere Dio che a suo avviso resta distante e in silenzio. E lo sfida: lui starà sveglio, in attesa, sino alla risposta. Nel grido del profeta si ad­densano quelle degli oppressi di oggi, soprattutto quello…
XXVII del tempo ordinario
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Giona profeta ribelle
Giona 1,1–2,1.11 | Doveva suonare paradossale a Giona quella parola che Dio gli aveva rivolto. Come poteva andare a Ninive, capitale del grande e potente Impero degli assiri, che aveva distrutto nel 721 a.C. il Regno di Israele e deportato molti suoi abitanti, città immensa ai suoi occhi? Come avrebbero potuto ascoltare la sua parola quegli acerrimi nemici di Israele? Il profeta non ha dubbi: quei nemici così violenti non possono ascoltare la sua povera predicazione. Giona comprende la chiamata, ma ha paura e fugge. La sua fuga però si trasforma in tragedia per sé e per gli sfortunati marinai di quella nave, che paradossalmente invocano quel Signore che essi non conoscevano e da cui egli fuggiva. Il problema di Giona era quello di dover andare oltre i confini di ciò di cui era pratico, oltre gli ambienti che gli erano familiari, oltre le terre che magari conosceva a memoria. La chiamata di Dio era per andare oltre. Potremmo leggere questa chiamata di Giona rivolta anche a noi.…
Giona profeta ribelle
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Conversione di Ninive
Giona 3,1-10 | È la seconda volta che il Signore si rivolge a Giona per invitarlo ad andare a Ninive. C’è un’insistenza del Signore, affinché la sua parola sia proclamata in quella città. L’insistenza di Dio è il segno dell’amore verso quella grande città che il Signore vuole salvare dalla distruzione. E ciò che distrugge la città di Ninive e da cui gli abitanti devono convertirsi non è un pericolo esterno, ma «una condotta malvagia e la violenza che è nelle loro mani». Ninive allora è anche un po’ l’immagine del nostro mondo: una grande città globale in cui gli uomini, come dirà poi il libro di Giona, vivono spesso senza saper distinguere la mano destra dalla sinistra, cioè senza alcun criterio di verità, e coltivano sentimenti malvagi e di violenza. Giona allora accoglie il secondo invito di Dio e comincia a percorrere le strade di quella città. Ancora prima di terminare la sua missione, al primo dei tre giorni, gli abitanti credettero alla Parola di Dio…
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Disappunto di Giona e risposta di Dio
Giona 4,1-11 | Dopo la conversione dei niniviti, resa possibile dalla predicazione di Giona, l’autore sacro si ferma a considerare le reazioni del profeta. Giona, deluso dal comportamento del Signore che non ha messo in opera la minaccia della distruzione della città, prova dispiacere. Ma Dio, attraverso la parabola di una pianticella di ricino, richiama anche Giona alla conversione, ossia a riconoscere e a incontrare il volto misericordioso di Dio. Giona non avrebbe voluto che il Signore cambiasse idea su Ninive. Ed ecco il paradosso del testo che abbiamo letto: mentre Dio si pente del male che aveva minacciato di fare a Ninive, Giona invece se ne dispiace e si intristisce. Troppo misericordioso e benevolo questo Dio! Sono sempre troppi coloro che preferirebbero, come Giona, un Dio che punisce i malvagi e che benedice i giusti. È il Dio che tante volte ci costruiamo anche noi; ovviamente un Dio fatto a nostra immagine e somiglianza. È difficile, per uomini abituati a considerarsi…
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La vocazione di Abramo
Genesi 12,1-9 | Nella confusione e nella dispersione dei popoli il Signore non abbandona mai l’uomo. Se ogni popolo si era costituito una terra dai confini delimitati, con una sua propria lingua, Dio invece chiama Abramo a uscire dalla sua terra, dalla sua patria e dalla sua casa. La storia della salvezza, quella che Dio inizia con Abramo, comincia con un esodo, con un abbandono radicale. È il paradigma di ogni storia cristiana, sia personale che comunitaria. All’inizio di ogni esperienza religiosa c’è sempre il comando fermo di Dio: «Vattene dalla tua terra… verso la terra che io ti indicherò». Questo fermo e duro comando porta a dire che solo obbedendo a questo invito di Dio possiamo ricevere la benedizione, ossia la sua protezione, ed essere a nostra volta benedizione per gli altri, come Dio disse ad Abramo. Il cuore della vocazione di Abramo sta nell’obbedienza alla chiamata di Dio. Abramo deve anzitutto rinunciare ad ascoltare solo sé stesso e a pensare alla sua…
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Invito alla penitenza e alla preghiera
Gioele 1,13-15; 2,1-2 | Il profeta Gioele svolge la sua missione in un momento difficile per il popolo d’Israele. È un tempo di desola-zione forse causato da calamità naturali abbattutesi sul paese. Il profeta avverte Israele perché non segua l’istinto della rassegnazione e non si lasci andare al lamento. Lo esorta invece a riunirsi nella casa di Dio e a pregare con fede. Il profeta invita tutti a unirsi in assemblee liturgiche per innalzare a Dio la propria richiesta d’aiuto. Si rivolge così a tutta la comunità: «Lamentati come una vergine che si è cinta di sacco per il lutto e piange per lo sposo della sua giovinezza». Chiama alla preghiera gli «abitanti della regione», i «contadini», i «vignaioli» così come i sacerdoti e gli anziani. È l’invito alla concordia di un unico popolo nella domanda di perdono e nell’invocazione dell’aiuto del Signore. È l’invito alla preghiera comune: «Venite, vegliate vestiti di sacco». La preghiera comune raduna tutti nel…
Invito alla penitenza e alla preghiera
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Il giorno del Signore è imminente
Gioele 4,12-21 | Il profeta annuncia l’imminenza del giorno del Signore: «Date mano alla falce, perché la messe è matura». Il profeta con queste parole intende parlare del tempo della decisione, del momento del giudizio ultimo. Ma questo tempo è già arrivato, è il nostro tempo. Per questo non si può vivere la fede in maniera scontata, come se tutto andasse bene standocene tranquilli. La fede nel Signore della Bibbia, particolarmente la fede cristiana, è anche decisione, lotta contro il maligno, guerra contro il diavolo, spirito di divisione, ma è soprattutto attesa della venuta definitiva del Signore. Anche Gesù aveva detto: «Dai giorni di Giovanni il Battista fino a ora, il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono». Queste parole non sono certo un invito alla violenza, ma a considerare anche la lotta e la sofferenza che l’essere cristiani richiede anzitutto verso se stessi. È nel cuore di ciascuno di noi che si gioca lo scontro decisivo tra…
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XXVIII del tempo ordinario
2Re 5,14-17; Sal 98 (97); 2Tm 2,8-13; Lc 17,11-19 | Gesù si trova nel territorio di Jezreel, tra la Galilea e la Samaria. Mentre sta entrando in un villaggio, gli vengono incontro dieci lebbrosi (era facile incontrarli vicino ai luoghi abitati). Essi, fermatisi a distanza, com’è previsto dalle leggi, gridano verso di lui: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Gesù non li evita, come in genere fanno tutti, ma si mette persino a parlare con loro. Alla fine li congeda: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». Non li guarisce subito come ha fatto in altri casi (Lc 5,12-16); né li tocca con le sue mani, ma li invia ai sacerdoti, chiedendo così un atto di fede. I dieci lebbrosi obbediscono immediatamente e si incamminano verso i sacerdoti. L’evangelista nota che durante il cammino sono «sanati»; potremmo dire che si accorgono di guarire. Tutto questo non è senza significato: la guarigione, il miracolo, non è un fatto prodigioso che capita in modo improvviso quasi fosse frutto…
XXVIII del tempo ordinario
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Paolo «a tutti quelli che sono a Roma»
Romani 1,1-7 | La Lettera ai Romani, di cui iniziamo la lettura, occupa il primo posto nell’epistolario paolino sia per l’ampiezza che per l’importanza del tema che tratta. Con essa, infatti, l’apostolo si rivolge alla comunità di Roma – che egli non aveva fondato ma della cui fede «si parla nel mondo intero» per spiegare cosa significa la salvezza, ossia la “giustizia” che salva, quella che Dio ha donato agli uomini mediante Gesù Cristo, adempiendo così la promessa fatta ad Abramo. Nell’indirizzo di saluto Paolo si presenta come «servo» di Gesù; infatti, gli appartiene totalmente. E proprio per questo è stato «scelto» come «apostolo», ossia con una missione e un compito particolari che il Signore stesso gli ha affidato per l’edificazione della Chiesa. È la missione di comunicare quel Vangelo che era stato «promesso per mezzo dei suoi profeti nelle Sacre Scritture», il cui culmine è proprio il Vangelo di Gesù «costituito figlio di Dio con potenza,…
Paolo «a tutti quelli che sono a Roma»
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Il Vangelo contiene la potenza di Dio
Romani 1,16-25 | Paolo ha appena parlato del suo desiderio di predicare il Vangelo anche a Roma. L’apostolo sa che il Vangelo è un tesoro che gli è stato donato e che deve comunicare agli altri, soprattutto ai pagani. Il Vangelo contiene la «potenza di Dio», ossia una forza capace di attuare la «salvezza di chiunque crede», ma la fede, per l’apostolo, non è semplicemente l’accettazione di una dottrina; è, piuttosto, l’adesione piena e totale a Gesù. E tutti, gli ebrei prima e poi anche i greci, sono chiamati ad accogliere il Signore. L’ansia di comunicare questo Vangelo “divora” Paolo. E dovrebbe divorare anche i discepoli di ogni tempo, soprattutto di questo nostro inizio di millennio che attende una rinnovata predicazione evangelica. Paolo cita un passaggio del profeta Abacuc: «Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede» (Ab 2,4). In questo testo chi non ha l’animo retto è l’empio, colui che si è allontanato…
Il Vangelo contiene la potenza di Dio
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Non giudicare l’altro
Romani 2,1-11 | Paolo scrive che l’uomo è più incline a servire se stesso che Dio. È un istinto profondo che ci accompagna tutti, una sorta di atteggiamento “idolatrico” che coinvolge uomini e donne di ogni tempo. Questa convinzione dovrebbe renderci attenti a non dar ragione facilmente a noi stessi e alle nostre tradizioni. Gesù stesso esorta a non guardare la pagliuzza nell’occhio degli altri e ad accorgersi della trave nell’occhio di ciascuno di noi. Siamo tutti poveri uomini e povere donne bisognosi di aiuto da parte del Signore. Per questo Paolo, poco più avanti, riprendendo un’affermazione del salmo, scrive: «Non c’è nessun giusto, nemmeno uno» (Rm 3,10). Gesù stesso, all’uomo che lo adulava chiamandolo «Maestro buono», rispose: «Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono» (Mc 10,18). La nostra pochezza dovrebbe spingerci a non farci giudici degli altri. Paolo, rivolgendosi direttamente «all’uomo», a tutti gli uomini, ha parole severe per chi…
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Rivelazione della giustizia di Dio
Romani 3,21-30a | Paolo sino a ora ha affermato che Dio ha rivelato la sua giustizia, ma gli uomini non l’hanno accolta. I pagani non l’hanno riconosciuta né nei segni del creato né nella loro coscienza. Israele, che pure ha ricevuto la Legge, ha fatto di questa non un modo per aderire a Dio con tutto il cuore, ma uno strumento di autogiustificazione. Paolo afferma che Israele non è un’eccezione tra i popoli: tutti gli uomini sono uguali davanti a Dio. L’elezione, pertanto, non è un privilegio di cui gloriarsi. È piuttosto una scelta che chiede una risposta d’amore. Se Israele non risponde, tradisce l’alleanza. Dio, però, nonostante il tradimento, non scioglie la sua alleanza con Israele. L’elezione resta salda; certo, non per la fedeltà del popolo, ma per quella di Dio. L’amore indefettibile di Dio è uno dei cardini che percorre l’intera vicenda di Israele sino ad arrivare al suo culmine con Gesù che, per amore, dona tutta la sua vita. Paolo esorta i…
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La figura di Abramo
Romani 4,1-8 | Nel capitolo 4 della Lettera ai Romani Paolo sviluppa un’argomentazione biblica tutta incentrata sulla figura di Abramo. L’intento dell’apostolo è teso a dimostrare che il “Vangelo della giustificazione” non è uno stravolgimento della Scrittura, al contrario, ne è una conferma. Abramo è per eccellenza il modello del credente che, aprendosi alla fede, ha ricevuto il dono della giustizia. Già nel libro della Genesi si legge: «Abramo credette a Dio e gli fu accreditato come giustizia» (Gen 15,6). La vita di Abramo è la testimonianza della forza che scaturisce dalla fede. Per questa fede anche il peccato può essere cancellato. Così anche il perdono, la «giustifica-zione» di cui parla Paolo, è unicamente il frutto della misericordia e dell’amore di Dio che continua a chiamare gli uomini a seguirlo. Affidandosi totalmente a colui che lo aveva chiamato, il santo patriarca fu liberato dalla schiavitù di se stesso, delle sue opere e delle sue tradizioni.…
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L’invio dei settantadue
Luca 10,1-9 | Oggi la Chiesa fa memoria di Luca, l’autore del terzo Vangelo e degli Atti degli Apostoli. Una tradizione vuole che fosse tra i settantadue. In effetti la sua figura e il suo Vangelo sono caratterizzati da un grande slancio missionario. Luca sarà tra i compagni e i col-laboratori di Paolo nei suoi viaggi missionari, e da subito inizierà a raccogliere le testimonianze dei discepoli che avevano vissuto con Gesù redigendo in maniera accurata queste memorie nel Vangelo che porta il suo nome e negli Atti degli Apostoli. In questo brano allora ritroviamo tutto lo sguardo fiducioso di Gesù verso il mondo: una messe matura che il Signore desidera sia colta, perché nulla della vita degli uomini vada perduto. La visione di Gesù non è lo sguardo ingenuo di chi non conosce il male, ma la visione chiara e coraggiosa di chi conosce la forza dell’amore e sa che nel cuore di ognuno e nel cuore stesso del mondo è nascosto un frutto abbondante di vita che potrà maturare. Il…
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XXIX del tempo ordinario
Es 17,8-13; Sal 121 (120); 2Tm 3,14–4,2; Lc 18,1-8 | Il Vangelo riporta una parabola di Gesù sulla necessità di pregare sempre, senza scoraggiarsi, “senza perdere il cuore”, letteralmente. La parabola narra di una povera vedova che non trova giustizia per la sua causa. Nella tradizione biblica, come sappiamo bene, la vedova viene presentata come il simbolo dell’impotenza dei deboli, degli indifesi: non avendo né marito né figli che la difendano non ha nessuno su cui contare. E tuttavia quella vedova, a differenza della maggioranza, non si rassegna. E continua a recarsi da quel giudice pretendendo da lui giustizia contro i suoi aggressori, sino a venire alle mani con lui, commenta qualche studioso. “Il giudice – continua Gesù - disse tra sé: anche se non temo Dio e non ho rispetto di nessuno, poiché questa vedova è così molesta le farò giustizia, perché non venga continuamente a importunarmi”(vv. 4-5). Non è certo un comportamento esemplare. Anzi, quel giudice…
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Abramo giusto per la fede
Romani 4,20-25 | L’apostolo scrive ai romani che la vicenda di Abramo riguarda direttamente anche noi cristiani «che crediamo in colui che ha risuscitato dai morti Gesù nostro Signore». In un commento ebraico della Scrittura si legge: «Tutto ciò che è stato scritto su Abramo viene ripetuto nella storia dei suoi figli». L’apostolo chiarisce che con la sua morte sulla croce Gesù ha preso su di sé tutti i peccati del mondo e con la sua risurrezione ci ha giustificati: egli «è stato consegnato alla morte a causa delle nostre colpe ed è stato resuscitato per la nostra giustificazione». Con questa specificazione l’apostolo interpreta la fede di Abramo legandola al mistero stesso di Gesù che muore e risorge. Il Dio di Abramo si manifesta nella sua pienezza in Cristo Gesù. La storia di Abramo è perciò emblematica per tutti i credenti e in particolare per i cristiani perché mostra la radicalità della fede: è per la fede che anche noi ci leghiamo a Dio, appunto come il…
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Adamo e Cristo
Romani 5,12.15b.17-19.20b-21 | Questa pagina della Lettera ai Romani inserisce la vicenda cristiana nell’orizzonte più ampio della storia umana. L’apostolo Paolo vuole mostrare ai cristiani di Roma la forza e l’universalità dell’amore di Gesù. Parla di Adamo, il primo uomo, secondo il racconto della Genesi, per ricordare che tutti gli uomini sono Adamo, cioè peccatori e quindi soggetti alla conseguenza ultima del peccato che è la morte: «Tutti hanno peccato». Frutto del peccato sono anche le dimensioni di debolezza e di fragilità che ci appartengono. Esse sono frutto di quell’orgoglio e di quell’auto-sufficienza, radicati nel nostro cuore, che ci allontanano da Dio mettendoci in balia delle forze del male. È, insomma, il “peccato originale”, quello di Adamo che l’umanità intera porta con sé. Ogni uomo e ogni donna, così come il creato, sono segnati da una condizione comune e personale di debolezza. E tutti, uomini e creato, attendiamo una nuova nascita.…
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Morti al peccato
Romani 6,12-18 | L’apostolo aveva dichiarato i credenti «morti al peccato» perché raggiunti dall’evento di grazia, il battesimo, che li ha resi partecipi della Pasqua di Cristo. Ora rende chiaro che tale evento di grazia non agisce magicamente nei credenti, ma avvia in essi un dinamismo responsabile. Seppure «morti al peccato», i credenti debbono fare in modo da non lasciarsi dominare dal peccato nella vita di ogni giorno. Ai cristiani viene data la forza, l’energia sufficiente per contrastare il peccato e la logica perversa che vogliono dominare il cuore degli uomini. L’apostolo esorta quindi a scegliere tra l’obbedienza all’istinto dell’uomo vecchio e l’obbedienza all’uomo nuovo guidato dallo Spirito. Se la prima è un’obbedienza istintiva, e quindi una sorta di schiavitù, la seconda richiede invece una scelta e un’attenzione vigile e perseverante. La vita del credente è sempre una lotta tra queste due forze; la stessa lotta che Gesù ha vissuto per…
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Liberi dalla schiavitù del peccato
Romani 6,19-23 | L’apostolo mette a confronto, con molta efficacia, due libertà: quella di un’esistenza che mette al centro se stessi e quella di un’esistenza che invece si mette alla sequela del Signore. In entrambi i casi si è, in certo modo, liberi dalla legge. Ma la libertà senza Dio e senza i fratelli non porta altro che frutti amari e disordinati, perché rende schiavi delle proprie tradizioni e del proprio orgoglio, succubi della forza malvagia del peccato e del male. La salvezza viene da Dio che ci libera dalla schiavitù degli istinti di peccato e ci dona la libertà per servire il Vangelo e quindi per dedicare l’intera nostra vista ad amare Dio, i fratelli e i poveri. Scrive: «Ora invece liberati dal peccato e fatti servi di Dio, raccogliete il frutto per la vostra santificazione e come traguardo avete la vita eterna». La libertà del cristiano inizia quando accoglie l’amore che Dio riversa nei cuori per mettere al servizio del suo grande disegno di amore sul…
Liberi dalla schiavitù del peccato
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«Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio»
Romani 7,18-25a | Scorgiamo l’esperienza descritta da Paolo nella vita di ciascuno di noi: «In me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti, io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio». Sembra che l’io non si riconosca nel proprio comportamento. Eppure, prendere co-scienza di questa contraddizione insita nel profondo della vita di ciascuno significa cogliere il nostro limite e la nostra finitezza radicali. Ma è di qui che nasce la preghiera al Signore perché venga in aiuto alla nostra debolezza. La prima lotta che il credente è chiamato a combattere è proprio quella al suo interno, nel suo stesso cuore, nella sua stessa vita perché non prevalga l’uomo carnale e cresca di giorno in giorno quello spirituale. La co-scienza della propria debolezza spinge a rivolgersi a Dio che non fa mancare la sua Parola e il suo aiuto a chi glielo chiede con fede. L’interrogativo finale: «Chi mi…
«Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio»
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