XXVII del tempo ordinario
XXVII del tempo ordinario
M Mons. Vincenzo Paglia
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Ab 1,2-3; 2,2-4; Sal 95 (94); 2Tm 1,6-8.13-14; Lc 17,5-10 | «Fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido: "Violenza!" e non soccorri? Perché mi fai vedere l'iniquità e resti spettatore dell'oppres­sione? Ho davanti rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese» (vv. 2-3). Sono le parole iniziali del dialogo di Abacuc con il Signore. E’ un dialogo drammatico. Il profeta è sgomento nel vedere quanta rovina e distruzione sta portando la guerra scoppiata tra i due grandi imperi del tempo, quello Assiro che stava perdendo il potere e quello Babilonese che stava invece emergendo, mentre Israele subiva anch’egli le conseguenze drammatiche del conflitto. Il profeta davanti a tanta distruzione grida: “fino a quando”! E’ come se volesse scuotere Dio che a suo avviso resta distante e in silenzio. E lo sfida: lui starà sveglio, in attesa, sino alla risposta. Nel grido del profeta si ad­densano quelle degli oppressi di oggi, soprattutto quello dei popoli in guerra. La stessa regione di cui parla il profeta è ancora oggi segnata da un terribile guerra. Non possiamo assistere impotenti e – assieme al profeta - continuiamo a invocare il Signore. Nei giorni di Preghiera per la Pace che ogni anno ci accompagnano, abbiamo visioni di pace, come la ebbe Abacuc. Il Signore ripete anche a noi: «Scrivi la visione e incidila bene sulle tavolette perché la si legga speditamente. È una visione che attesta un termine...; se indugia, atten­dila, perché certo verrà e non tarderà» (vv. 2-3). Dobbiamo inciderle nei nostri cuori e in quelli dei popoli e delle stesse religioni, perché tutti conoscano il pensiero di Dio: “Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la fede”. Di fronte al male che avanza siamo chiamati a riscoprire la fede, perché è nella fede la nostra forza e quella del mondo. Il giusto vivrà per la fede, dice il profeta, ed anche il mondo vivrà per la fede dei credenti. La fede infatti è una forza di cambiamento.

E’ preziosa l’esortazione di Paolo a Timoteo: «ravviva il dono» che ti è stato dato. E la fede non è «uno spirito di timidezza, ma di for­za, di amore e di saggezza» (l Tm 1,7). L'uomo di fede infatti non è timido ma saldo, non è pigro e gretto, ma coraggioso e audace nella speranza. La fede porta oltre le nostre grettezze, oltre i nostri timori, oltre le nostre paure. La fede spinge il credente a sperare l’impossibile perché ha ricevuto da Dio la visione dei “cieli nuovi” e della “terra nuova” di cui parla l’Apocalisse. La fede rende forti contro il male e la violenza, contro le guerre e i conflitti. Sono belle le parole di Dietrich Bonoheffer, pastore protestante, ucciso dai nazisti: “Cristo fa l’uomo non soltanto buono, ma forte. Questa forza non è l’arroganza, non è l’aggressività, non è la prepotenza… ma è la forza dell’amore. Più forte della morte, dell’odio, delle malattie, della povertà, delle dittature, del potere è l’amore”.

Facciamo bene a ripetere assieme agli apostoli: «Signore, accresci in noi la fede!» (17,5-10). E’ una preghiera che dobbiamo ripetere spesso. Anche se la risposta di Gesù è sorprendente. Ai discepoli che chiedono più fede, Gesù risponde: «Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: "Sii sradicato e trapiantato nel mare", ed esso vi ascolterebbe» (v. 6). Gesù sembra suggerire che non c’è bisogno di una grande fede. Ne basta una piccola, ma che sia fede, ossia fiducia, abbandono, confidenza in Dio; e non fiducia in se stessi, nelle proprie tradizioni, nelle proprie forze, o peggio nel denaro e nel potere di questo mondo. Quante volte nel Vangelo Gesù dice a coloro che sono stati guariti: “La tua fede ti ha salvato!”. E si parla per lo più di piccola fede. Quando essa è grande - in genere si tratta di persone non appartenenti ad Israele come quella del centurione di Cafarnao – Gesù lo nota esplicitamente: “Non ho trovato nessuno con una fede così grande!(Mt 8,10). La fede, anche piccola, ha la forza di spostare l’albero del gelso, ritenuto molto saldo nelle radici, dalla terra al mare. Eppure, quanto poco noi discepoli di Gesù ci rendiamo conto del potere della nostra piccola fede! E restiamo impotenti davanti ai nostri gelsi, alle nostre piante, alle nostre frasche, e rinunciamo a lottare per la pace, rinunciamo a costruire luoghi di speranza per i più deboli, rinunciamo a operare perché la giustizia e la pace si instaurino tra i popoli. Tale rinuncia è l’opposto della fede, è appunto l’incredulità alla forza del Vangelo.

La parabola narrata da Luca immediatamente dopo l’affermazione sulla forza della fede, ci aiuta a capire il senso del servizio dei credenti. Gesù parla dell’azione dei servi nel campo del Signore, mettendoci in guardia dalla pretesa di metterci subito a tavola, come se ne avessimo diritto e, comunque, fosse preparata solo per noi. Gesù aggiunge: “Quando avete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare”. Il discepolo è chiamato a partecipare al sogno di Dio e a dire: sono un servo inutile. Non che sia inutile il suo servizio. Tutt’altro. Quel che rende inutili è il protagonismo, il costruire per sé, il rivendicare meriti, cercare il proprio utile, il proprio tornaconto. Se ci poniamo al servizio del sogno di Dio sul mondo, riceviamo la forza stessa di Dio: siamo inutili perché è Dio stesso che opera con noi e attraverso di noi.

Prima Lettura ... | ...


Salmo Responsoriale

 


Seconda Lettura ... | ...


Vangelo ... | ...


Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia

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