Neemia torna a Gerusalemme per ricostruire le sue mura
Neemia torna a Gerusalemme per ricostruire le sue mura
M Mons. Vincenzo Paglia
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Neemia 2,1-8 | Neemia è angosciato per la condizione del suo popolo e della sua città. L’assenza delle mura significava una debolezza estrema di fronte a qualsiasi attacco del nemico. Ogni città era sempre munita di mura. Una città senza mura perdeva anche il suo senso di luogo di convivenza sicura. Nel libro dell’Apocalisse, sulla falsariga del libro di Ezechiele (Ez 48,30-35), la città santa che scende dal cielo, la Gerusalemme celeste, sarà circondata da mura: «È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli di Israele» (Ap 21,12). Comprendiamo meglio la preoccupazione di Neemia per una città che ha perso la sua sicurezza, che porta i segni della distruzione e della desolazione. Ma il suo proposito non è semplice: prima deve convincere il re persiano Artaserse, e questo gli risulta un’impresa facile. L’Impero persiano infatti, a differenza di quello babilonese, era tollerante verso i popoli conquistati, anzi cercava di mantenere l’unità attraverso concessioni che favorivano la pratica religiosa dei singoli popoli. È il caso della disposizione benevola di Artaserse verso la richiesta di Neemia, a cui è concesso di tornare a Gerusalemme con il compito di ricostruire le mura della città. Le difficoltà vengono invece dalle popolazioni vicine, probabilmente da quella parte che vedeva in Neemia la possibile minaccia a un equilibrio di potere che si era andato costituendo dopo la scomparsa del Regno di Giuda e la distruzione di Gerusalemme. Sanballàt era forse governatore della Siria, Tobia aveva a che fare con gli Ammoniti, e poi si incontra Ghesem, l’Arabo. Si profila qui un’opposizione che caratterizza soprattutto la prima fase dell’epoca postesilica, durante la quale gli abitanti della Giudea, in parte ritornati da Babilonia, cercano di ricostruire la vita religiosa e civile. Questo capitolo ci mostra quanto è difficile per un piccolo popolo trovare uno spazio di vita e poter esprimere di nuovo la propria fede, quando questa è vista ingiustamente come una minaccia e un pericolo, invece che come una ricchezza e un aiuto alla convivenza.