La distruzione di Sodoma
Genesi 19,15-29 | Questo brano ci presenta l’alba del giorno della distruzione di Sodoma. Gli angeli di Dio esortano Lot ad allontanarsi dalla città. Di fronte al dramma che si sta abbattendo sulla città Lot resta come bloccato, non riesce neppure a muoversi, tanto che debbono prenderlo per mano e, assieme a sua moglie e le figlie, condurlo fuori per metterlo in salvo. Appena Lot è al sicuro, una pioggia di fuoco e di zolfo – forse una vera e propria eruzione vulcanica – si abbatte su Sodoma e la distrugge, divenendo così il simbolo della città non solo peccatrice, ma soprattutto corrotta. Deve far riflettere il fatto che uno dei gravi peccati commessi dagli abitanti della città fu il rifiuto di accogliere gli stranieri che si erano rifugiati da Lot. Il cuore di quei cittadini era gretto e talmente ripiegato a difendere i propri interessi, da non vedere in quegli stranieri fratelli bisognosi di aiuto e a scagliarsi contro Lot per quanto aveva fatto. Davvero il loro cuore…
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Nascita di Isacco
Genesi 21,5.8-20 | Il confronto tra Sara e Agar, due donne e i loro figli, mette in luce il fatto che ogni persona ha una parte insostituibile nella storia e che il Signore ha cura di ciascuno, ma sempre all’interno di una scelta di Dio che affida a ciascuno il suo proprio compito nella storia della salvezza. A volte questa scelta passa anche attraverso i capricci dell’uomo. L’autore sacro, mentre racconta la cacciata della schiava Agar a vantaggio del figlio della padrona (Isacco), si preoccupa di sottolineare che Abramo, turbato per il rifiuto del figlio Ismaele chiestogli da Sara, compie tale gesto dopo aver compreso che la volontà di Dio passa attraverso questa dolorosa lacerazione. Dai due figli, infatti, nasceranno due distinti popoli con due distinte grandezze e due distinte storie, ma è attraverso Isacco che passerà la linea della storia del popolo di Israele. «Ascolta la voce di Sara», dice il Signore ad Abramo (v. 12). La parola di Sara è considerata profetica,…
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La fede di Tommaso
Giovanni 20,24-29 | Oggi celebriamo la festa di san Tommaso, chiamato Didimo (gemello). Il Vangelo di Giovanni ne parla varie volte in connessione con alcuni momenti importanti della vita di Gesù. Quando Gesù voleva andare da Lazzaro, malato, e vi era un grave pericolo per la vita del maestro, Tommaso, a nome di tutti i discepoli, disse: «Andiamo anche noi a morire con lui» (Gv 11,16). Era molto sicuro di sé, delle sue sensazioni, delle sue convinzioni, come appare chiaro alla sera della Pasqua. Agli altri Apostoli che, la sera di Pasqua, gli dicevano di aver visto il Signore risorto, lui rispose, appunto, con quella ormai nota frase divenuta emblema dell’incredulità: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi… non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». A pensarci bene, ognuno di noi è vicino a questo atteggiamento di Tommaso. Siamo sicuri di noi stessi, delle nostre sensazioni e delle nostre convinzioni. Tommaso ha bisogno di incontrare nuovamente il…
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La sepoltura di Sara
Genesi 23,1-4.19; 24.1-8.62-67 | I racconti della Genesi si sviluppano come storie di famiglie che diventano popolo, unità intorno a una discendenza benedetta da Dio. Padri e madri sono le fila che si intrecciano all’interno di una parola che diventa vita. Abramo, Sara, Isacco e Rebecca. All’inizio Abramo ribadisce la sua condizione di “forestiero”, o per meglio dire “immigrato”. Ciò ricorda la condizione permanente delle origini di Israele, che viene ribadita in continuazione sia per i patriarchi che per Mosè: non avere stabile dimora, vivere da pellegrini, da stranieri in una terra che è dono di Dio quindi non possesso assoluto, quella terra che l’uomo deve «coltivare e custodire» e non tanto dominare. Ciò in un certo senso rende tutto provvisorio e indica quella libertà dal possesso così poco praticata. Per questo Abramo è costretto a comprare un piccolo pezzo di terra per poter seppellire Sara. È segno della sua precarietà e della sua condizione, ma anche…
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Giacobbe carpisce la benedizione di Isacco
Genesi 27,1-5.15-29 | Isacco è vecchio e vuole benedire il figlio Esaù, il primogenito, a cui vuole confidare la sua benedizione. Re-becca, intimamente amareggiata dalla scelta di Isacco di prendere per moglie due straniere, è contraria alla decisione del marito. E architetta l’inganno di sostituire Giacobbe con il fratello Esaù per carpire la benedizione del padre e ricevere così il potere della primogenitura. Nella concezione dell’autore biblico non basta che l’efficacia di questa benedizione sia indiscussa presso Dio, ma per applicarla a un discepolo occorre che anche da parte dell’uomo essa venga trasmessa attivamente con una specifica volontà. La narrazione continua con Esaù, ormai esautorato e pieno di odio verso il fratello, che decide di ucciderlo. Giacobbe cercherà di riparare all’inganno prostrandosi «sette volte» davanti al fratello, come si narra più avanti. Dio comunque non cancella la benedizione concessa a Giacobbe dal padre anche se strappata con…
Giacobbe carpisce la benedizione di Isacco
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XIV del tempo ordinario
Is 66,10-14c; Sal 66 (65); Gal 6,14-18; Lc 10,1-12.17-20 | Gesù, che aveva iniziato il suo viaggio verso Gerusalemme, sentiva importante che la gente che avrebbe dovuto incontrare fosse preparata ad accogliere la sua predicazione. Di qui l’invio dei 72 discepoli per questa missione nelle città e nei villaggi della Galilea. Il numero di 72 è simbolico: era il numero dei popoli della terra. Il senso era chiaro: sin dalla piccola Galilea, Gesù ha davanti ai suoi occhi tutti i popoli della terra. E vuole che tutti possano ricevere il Vangelo ed essere salvati. È la volontà di Gesù stesso che la predicazione cristiana sia destinata a tutti, nessuno deve essere escluso. Questa tensione missionaria è particolarmente attuale in questo momento della storia. Purtroppo in tanti, anche credenti, sono tentati di ripiegarsi su se stessi, di chiudersi nelle proprie frontiere. Gesù, invece, invita ad alzare lo sguardo: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il…
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La scala che congiunge il cielo con la terra
Genesi 28,10-22a | La vicenda di Bethel si aggiunge immediatamente alla frode della primogenitura e al consiglio che Rebecca dà a Giacobbe di fuggire dalla casa. Giacobbe stanco del viaggio si ferma a riposare in un luogo deserto. E sogna una scala che congiunge il cielo con la terra. Potremmo dire che è il sogno di ogni uomo. La nostra terra è spesso dura come quella pietra su cui posa il capo Giacobbe. Ma Dio manda i suoi angeli che da quel luogo salgono verso il Signore perché Giacobbe non si chiuda nell’orizzonte ristretto del suo mondo. La terra in cui viviamo è tante volte dura ma non è maledetta. Dio spera sempre sul mondo e sempre benedice la terra perché sia fecondata e si realizzi il suo disegno. E i credenti sono chiamati a partecipare a questo sogno che è per tutti i popoli della terra, soprattutto per coloro il cui destino è più pesante e doloroso. Il credente riconosce la presenza del Signore in tutti i popoli della terra – il grande patriarca Atenagora,…
La scala che congiunge il cielo con la terra
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Giacobbe lotta con Dio
Genesi 32,23-33 | Giacobbe vive un momento di difficoltà. Sta ritornando nella terra promessa, ma ha paura dell’incontro con il fratello Esaù, dal quale si era separato in modo ostile. Vuole però ricostruire con Esaù un rapporto pacifico. Sa bene che solo la ricomposizione della fraternità ferita può portare alla pace. Nell’incertezza della solitudine Giacobbe deve affrontare una lotta con un personaggio misterioso. Il testo non lo identifica subito. Giacobbe nel suo lungo viaggio sembra essersi dimenticato della compagnia di Dio. Non così per il Signore. Non solo non lo ha dimenticato, ma gli sta accanto e ingaggia con lui una lotta perché riconosca di nuovo la forza della sua vicinanza. Questa pagina biblica suggerisce che la vita del credente è sempre una lotta contro se stessi. La fedeltà al Signore richiede sempre una lotta fatta del timore per le cose sante di Dio, del timore di mandare a vuoto le sue parole. Il cambio del nome avvenuto in quel momento di lotta –…
Giacobbe lotta con Dio
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La carestia in Egitto
Genesi 41,55-57; 42,5-7a.17-24a | Il tempo della carestia aveva riavvicinato i fratelli che la gelosia aveva diviso, come per il figliol prodigo, che ritrova se stesso e la casa del padre nel momento di maggiore difficoltà, quando moriva di fame. Giuseppe ora è in una casa di abbondanza. Egli ha il pane, mentre la carestia umilia e distrugge. Giuseppe lo vendeva non solo agli egiziani, ma a tutti coloro che erano colpiti dalla fame. Questo spirito di solidarietà permette a Giuseppe non solo di sollevare dalla fame tanti affamati, ma anche di ritrovare i fratelli. Ed è la premessa anche per lui per ricostruire i legami spezzati. L’amore per il prossimo aiuta sempre a scoprire di nuovo la fraternità. Giuseppe non si rivela immediatamente ai fratelli. La riconciliazione non è un semplice sentimento, richiede un itinerario di cambiamento del cuore. Ed ecco allora Giuseppe che mette alla prova i fratelli. E li aiuta in questo modo a rivi-vere la stessa situazione che aveva provocato…
La carestia in Egitto
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Riconciliazione fra fratelli
Genesi 44,18-21.23b-29; 45,1-5 | Giuda, uno dei fratelli, finalmente si prende le sue responsabilità. Non scappa più nell’inganno, non crede di potere risolvere tacendo o raccontando menzogne. La riconciliazione inizia quando parla con cuore aperto a Giuseppe che ancora non ha riconosciuto. Anche per loro è difficile ritrovare il fratello. Essi lo scoprono quando finalmente parlano del padre, del dolore provocato dalla morte di uno dei due figli che la moglie gli aveva dato. Essi, quando lo avevano gettato nella cisterna per ucciderlo, non avevano affatto pensato né al fratello né al padre. Ritroviamo la via della fraternità quando ci facciamo carico del fratello, ne diventiamo finalmente custodi e quando comprendiamo il dolore del padre. Di fronte alle parole sincere di Giuda e al dolore del padre anche Giuseppe non può più trattenersi e, rimasto solo con i fratelli, nell’intimità, finalmente si rivela e piange. Anche Gesù piangerà di fronte alle pecore stanche perché…
Riconciliazione fra fratelli
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Giacobbe parte per l’Egitto
Genesi 46,1-7.28-30 | La lunga storia di Giuseppe, dei suoi sogni interpretati con gelosia dai fratelli e causa della violenza contro di lui, termina con la narrazione dell’incontro con il padre. Giacobbe, rimasto in Canaan, vuole vedere suo figlio prima che muoia. Decide quindi di recarsi in Egitto. Non può morire senza averlo riveduto. Giacobbe si mette in viaggio. Porta con sé tutti i suoi familiari, perché tutti si riconcilino con quel figlio che era stato venduto agli egiziani. L’incontro con lui è pieno di commozione e riconcilia anche Giacobbe con tutta la sua vita, tanto che esclama: «Posso anche morire». La vera aspirazione di Giacobbe, del popolo di Dio, è che nessuno sia perduto. Per questo si mette in viaggio, anche a tarda età con tutti i disagi e i pericoli, per ritrovare il figlio dei sogni. Al vederlo comprende che la benedizione di Dio si è realizzata. La gelosia violenta e omicida dei fratelli, causata dalla sua predilezione verso il “sognatore”, era…
Giacobbe parte per l’Egitto
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Dalla morte di Giacobbe alla morte di Giuseppe
Genesi 49,29-33; 50,15-26a | Dalla morte di Giacobbe alla morte di Giuseppe Giacobbe ha ritrovato il figlio prediletto, Giuseppe. Chiede ai suoi di essere seppellito dove giacevano Abramo e Sara, Isacco, Rebecca e Lia. La morte viene descritta come un riunirsi agli antenati. Come la vita la riceviamo in una storia, così la morte è nascere a una vita dove troviamo di nuovo coloro che ci hanno generato, insieme a colui che è il creatore e l’autore della vita. I fratelli di Giuseppe cominciano ad aver paura. Il peccato, nonostante la riconciliazione che c’era stata con il loro fratello, lascia sempre tanta paura, fa vedere il male dove non c’è, diventa un’ombra che condiziona, riempie di diffidenza, di sospetti, consiglia il pensare male, ispira il difendersi. Il peccato sembra sempre più convincente del perdono. Quei fratelli si chiedono se, una volta morto il padre, Giuseppe non li avrebbe trattati da nemici e non avrebbe reso tutto il male che essi avevano fatto. Cercano…
Dalla morte di Giacobbe alla morte di Giuseppe
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XV del tempo ordinario
Dt 30,10-14; Sal 19 (18); Col 1,15-20; Lc 10,25-37 | Il Vangelo che abbiamo ascoltata ci è famigliare sin dai primi passi della nostra vita in comunità. E continua ad illuminarli. Del resto, la domanda del dottore della legge è centrale, riguarda la vita eterna, anche se viene posta per mettere Gesù alla prova. Gesù, come altre volte, risponde rimandando alla Parola di Dio. In questo caso, il cuore stesso della Legge: “ama il Signore con tutta l’anima, con tutte le forze e con tutta la mente e il prossimo come te stesso”. Quel dottore risponde correttamente, e così anche Gesù: “fa questo e vivrai”. Ma, volendo apparire giusto, chiede: «Chi è il mio prossimo?». Il suo intento è mettere un freno, una graduatoria all’amore. Ma la graduatoria divide, riduce i confini dell’amore e porta ad amare alcuni escludendo altri. Ma questa logica porta non solo a dividere gli uni dagli altri, ma anche a dimenticare l’altro, ad essere senza pietas per alcuni.
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Il popolo d’Israele è oppresso
Esodo 1,8-14.22 | L’inizio del libro dell’Esodo interrompe la vicenda dei patriarchi e apre la storia del popolo di Israele. Non c’è più Giuseppe, il figlio di Giacobbe, a guidare l’Egitto. Ora c’è il faraone che ha paura della crescita anche nel numero dei figli di Israele. Per lui un gruppo etnico così numeroso e per nulla integrato è pericoloso per la coesistenza pacifica del suo regno. Decide quindi di soggiogarlo alla sua autorità. Le misure che il faraone decide sono pesanti. La prima è quella di asservire gli ebrei ai lavori forzati – una vera e propria schiavitù – per la costruzione di due nuove città, Pitom e Ramses. Ma, nonostante la durezza e la crudeltà del lavoro, il faraone non vede i frutti previsti. Il testo, con qualche ironia, nota: «Ma quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva, ed essi furono presi da spavento di fronte agli Israeliti». Il faraone prese quindi una ulteriore misura ancora più drastica:…
Il popolo d’Israele è oppresso
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La nascita di Mosè
Esodo 2,1-15 | Il racconto della nascita di Mosè ci stupisce. Egli viene dalla tribù di Levi, una tribù che era stata maledetta per la sua violenza (Gen 49,5-7); porta un nome egiziano ed è, fin da subito, completamente inserito nella cultura egiziana. È una sorta di doppia nascita: Mosè è sia ebreo che egiziano. È una contraddizione che, tuttavia, non impedisce a Dio di scegliere proprio lui per liberare il popolo di Israele. Anzi, il disegno di Dio, attraverso la sto-ria di Mosè, rivela il valore di crescere insieme agli altri, anche in un mondo che tante volte sembra straniero alla nostra mentalità e alla nostra cultura. Mosè si presenta come il salvato dalle acque, e in effetti Dio lo salva, come per indicare in anticipo il compito che affiderà a quel bambino verso il suo popolo, ossia liberarlo dalla schiavitù attraverso le acque del mare. Quella di Israele sembrava una sorte segnata dalla schiavitù, da cui sarebbe stato impossibile uscire, ma Dio non abbandona gli…
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Il roveto ardente
Esodo 3,1-6.9-12 | Mosè ha abbandonato il suo sdegno di fronte all’ingiustizia e conduce ormai una vita tranquilla nella sua fa-miglia. Ma il Signore non si è dimenticato della miseria del suo popolo. E come un fuoco che brucia, irrompe nella vita di Mosè. È il fuoco dell’amore di Dio, il fuoco del suo sdegno per la schiavitù del suo popolo, che appare in modo inaspettato a un uomo dimentico e rassegnato, intento a pascolare le sue greggi. Il Signore si avvicina e lo chiama per nome. Mosè risponde con prontezza e fiducia. È quanto accade a ciascuno di noi quando, dalla terra santa della comunità cristiana, dal luogo della preghiera, apriamo il libro della Sacra Scrittura e Dio ci parla. Il fuoco della sua Parola ci risveglia da una vita affannata e distratta. E scopriamo un Dio che è il Signore della storia di uomini e donne di fede che prima di noi hanno risposto con fiducia: «Eccomi». Per la fede di un uomo solo, Dio salvò un popolo intero. «Ho osservato la miseria…
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Il nome di Dio è rivelato
Esodo 3,13-20 | Mosè è ancora titubante e incerto di fronte al compito affidatogli. Mette alla prova Dio chiedendogli il nome. Cerca una definizione chiara, una sicurezza capace di rispondere alle tante domande del mondo. Dio non si rifiuta, anche se la sua risposta è enigmatica. Mosè si sente rispondere: «Dirai agli Israeliti, Io-Sono mi ha mandato a voi». Qual è il significato di questo nome? Non è una risposta evasiva, difficile. E non è neppure una definizione astratta e teorica! Dio in un certo senso non risponde. O meglio: la sua vera risposta è la vicinanza al suo popolo: «Io sono colui che è con te, che ti accompagnerà lungo il cammino di liberazione, che starà con te nella terra promessa». Il nome di Dio, insomma, è strettamente legato alla storia, al rapporto personale con il suo popolo. Non si conosce il nome di Dio in astratto, come una verità senza la nostra umanità, lontana dalla nostra esperienza concreta, visibile, che così tanto ci condiziona. Si…
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La Pasqua, passaggio dalla schiavitù alla libertà
Esodo 11,10–12,14 | Il Signore continua a parlare a Mosè e ad Aronne perché possano affrontare con coraggio e con forza il faraone e liberare il popolo di Israele dalla schiavitù. La liberazione del popolo non avviene magicamente. Richiede un lavoro continuo e coraggioso nel recidere le numerose reti che imprigionano in una logica perversa. Dio pro-mette a Mosè e ad Aronne la “Pasqua”, ossia il suo passaggio che avvia la liberazione dalla schiavitù verso la libertà, la vittoria sul peccato da parte dell’amore. Dio prescrive la cena dell’agnello, quella Pasqua che Gesù celebrerà con i suoi, la nuova famiglia, il nuovo popolo che si era scelto. L’agnello stesso sarà nutrimento e protezione, perché il suo sangue sarà posto sugli stipiti e sull’architrave delle case che debbono essere risparmiate. Queste prescrizioni troveranno la loro pienezza nella Pasqua del Signore Gesù, vero agnello sacrificato per aprirci alla piena vittoria sul male, al passaggio più…
La Pasqua, passaggio dalla schiavitù alla libertà
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Israele si mette in cammino
Esodo 12,37-42 | Il popolo si mette in cammino. Non c’è Pasqua senza un movimento di uscita. Non c’è una vita nuova e una terra futura senza affrontare il cammino, a volte impervio, difficile, che mette alla prova, ma che conduce fino alla terra promessa. Anche Gesù manderà i suoi discepoli fino agli estremi confini della terra, perché i cristiani portino a tutti i popoli il Vangelo dell’amore. E c’è fretta di farlo. Soprattutto in questo tempo in cui la globalizzazione ha avvicinato i popoli attraverso il mercato ma non attraverso la fraternità. Non possiamo rimandare l’annuncio della “Buona notizia” che salva. Dio mette fretta, perché sa che la complicità con il male non è innocua. Dio ha fretta che il suo popolo ascolti il grido di tutti i popoli della terra, soprattutto di quell’immenso popolo di poveri e di scartati che traversa l’intero pianeta. Gli uomini pensano spesso, invece, che la sofferenza dei poveri e dei prigionieri possa sempre aspettare!…
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XVI del tempo ordinario
Gen 18,1-10a; Sal 15 (14); Col 1,24-28; Lc 10,38-42 | Il Vangelo ci porta con Gesù a Betania nella casa di Marta e Maria. Sappiamo anche dal Vangelo di Giovanni che era un luogo caro a Gesù: vi sostava spesso, soprattutto quando si indurirono le dispute con i farisei e cresceva l'ostilità verso di lui. L'amicizia, l’accoglienza di quella famiglia lo aiutava, lo sosteneva. Così dovrebbe essere per tutte le case, per tutte le comunità dei discepo­li di Gesù, una indicazione preziosa anche per i nostri giorni, mentre vediamo crescere, vicino e lontano, diffidenze e respingimenti, conflitti e guerre così numerosi da dimenticarne la gran parte. La casa di Betania ci ricorda l’urgenza dell’accoglienza e dell’incontro. Una dimensione che affonda le radici anche nella Bibbia: basti pensare a quanto è avvenuto a Mamre, la cui vicenda la Liturgia di oggi accosta a quella evangelica.
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Timore nel passaggio verso la terra promessa
Esodo 14,5-18 | Il passaggio del Mar Rosso divide la storia in un prima e in un dopo. Un racconto parallelo sarà quello del passaggio del fiume Giordano (cfr. Gs 1,10-18; Sal 114). Il testo mostra la forza di Dio di fronte al potere egiziano. È la Parola di Dio rivolta a Mosè che muove gli eventi. Il popolo ascolta le parole di Mosè e inizia la sua fuga dall’Egitto prendendo la direzione che avrebbe portato verso la Palestina. Il faraone, indispettito sia per la perdita di preziosa manodopera sia per l’umiliazione che questa fuga rappresentava, subito organizza l’inseguimento per riprenderli e ricondurli in Egitto. Il popolo di Israele, davvero piccolo di fronte alla potenza dell’Egitto, al vedersi inseguito e quasi raggiunto dagli egiziani, si lascia prendere dalla paura. E grida al Signore il suo lamento e a Mosè la sua protesta. Ha perso la fiducia nella forza di Dio e si sente perduto in balia del nemico. La via della libertà, la scelta della sequela di Dio è sempre…
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La tomba trovata vuota
Giovanni 20,1.11-18 | Oggi la liturgia fa memoria di Maria Maddalena, che incontrò Gesù all’inizio della sua missione in Galilea e fu liberata da «sette demoni». Il Vangelo ce la presenta mentre sta accanto al sepolcro vuoto e piange. Non è facile rimanere accanto a un sepolcro, cioè accanto a una sofferenza grande. Ma questa è la forza dell’amore che lega Maria di Magdala al suo maestro. «Donna perché piangi?» chiedono gli angeli, come poi farà lo stesso Gesù. E le lacrime di Maria ci parlano di un grande amore, di una rivolta contro la morte, e che non c’è una vera risurrezione se non si passa in fondo da quelle lacrime e da quella domanda: «Perché piangi?». E quella domanda rivolta a Maria di Magdala oggi risuona davanti a tanti sepolcri e luoghi di dolore: dai luoghi feriti della guerra, in Ucraina e in tanti altri luoghi del mondo, al dolore di chi si sente solo davanti alla difficoltà e ai problemi della vita. Cosa cerchi? Quanti cercano pace, futuro,…
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La protesta nel deserto
Esodo 16,1-5.9-15 | Siamo immediatamente dopo il racconto dell’uscita dall’Egitto, della grande opera di liberazione e operata da Dio per il suo popolo. Si inizia descrivendo una situazione di disagio. Di fronte a queste situazioni e problemi Israele “mormora”. L’uso di questo verbo è significativo. Si trova nell’Antico Testamento quasi solo in riferimento alla reazione di Israele nel cammino verso la terra. Il verbo indica una lamentela con pretesa di qualcosa. L’atteggiamento di Israele non sembra sia considerato negativamente in se stesso, ma in quanto manifesta un giudizio di valore sul cammino fatto: Israele considera l’esodo non come un cammino verso la vita, ma verso la morte («ci avete fatti uscire per farci morire»). Egli perde di vista il luogo verso cui sta andando; il deserto da luogo di passaggio è giudicato il luogo dove si arriva e si muore. Nasce allora la nostalgia dell’Egitto: si vuole tornare indietro, si preferisce la schiavitù dell’Egitto…
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Sul Sinai, monte dell’alleanza
Esodo 19,1-2.9-11.16-20b | Nel descrivere la consegna delle tavole della Legge, l’autore sacro mette in rilievo i sentimenti di timore suscitati tra gli israeliti dall’apparizione divina: «Il terzo giorno, sul far del mattino, vi furono tuoni e lampi… tutto il popolo che era nell’accampamento fu scosso da tremore». Tutto il popolo si fermò sotto il monte, mentre Mosè, salito sul monte, «parlava e Dio gli rispondeva con una voce». La fede, l’alleanza nasce in questo dialogo: Dio parla a Mosè. È la parola ciò che stabilisce il legame tra Dio e il popolo. Dio parla, la sua parola è trasmessa a Israele attraverso Mosè, il quale poi riferisce a Dio la risposta del popolo. La mediazione di Mosè è dunque fondamentale ed è in funzione della trasmissione di una parola che ha bisogno di chi la ascolti e la comunichi, perché altrimenti resta indeterminata, come un suono vuoto. Ma oltre la parola c’è anche il vedere, pur con tratti paradossali: Israele assiste a una…
Sul Sinai, monte dell’alleanza
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