01|26 La grazia del ministero ricevuto
01|26 La grazia del ministero ricevuto
M Mons. Vincenzo Paglia
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Vangelo (Mc 4,26-34) - In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura». Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra». Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Vincenzo Paglia

Il giorno dopo la conversione di Paolo, la Chiesa ricorda i due suoi più stretti collaboratori, Timoteo e Tito. Il primo fu battezzato dallo stesso Paolo e ricevette da lui l’imposizione delle mani, come lo stesso apostolo ricorda nella lettera di cui abbiamo letto l’inizio. Paolo, ormai alla vigilia della morte, scrive a questo «diletto figlio» con sentimenti appassionati. Già nella Lettera ai Filippesi aveva scritto: «Non ho nessuno che condivida come lui i miei sentimenti e prenda sinceramente a cuore ciò che vi riguarda» (Fil 2,20). Mentre sta nel carcere, l’apostolo continua a servire il Vangelo e nella preghiera ricorda a Dio le comunità che ha fondato e i suoi collaboratori. Le catene non bloccano la sua comunione con i fratelli e le sorelle. Ma la consolazione che l’apostolo sente sin da ora è la fedeltà di Timoteo al Vangelo, una fedeltà che affonda le radici anche in una famiglia molto religiosa a partire dalla nonna Loide e dalla madre Eunice. Il ministero affidato a Timoteo non è facile, anche per la sua giovane età. Paolo però gli ricorda «il dono di Dio» che gli è stato dato con l’imposizione delle sue mani (1Tm 4,14). E gli chiede di ravvivarlo con la preghiera, la fedeltà e la dedizione, in modo che si accenda di luce sempre più chiara e diventi sempre più sorgente di forza per lui. L’altro discepolo che oggi la Chiesa ricorda è Tito, un greco di Antiochia, un frutto prezioso della predicazione di Paolo ai “gentiliˮ. Per questo Paolo e Barnaba lo portano con loro per presentarlo alla comunità di Gerusalemme (At 15). Paolo con fierezza lo chiama «mio vero figlio nella medesima fede». E gli affida prima la guida della comunità di Corinto e poi quella di Creta ove ancora oggi si venera. La loro memoria risveglia nella Chiesa la responsabilità della comunicazione del Vangelo non solo nel mondo, ma anche di generazione in generazione.