02|20 «Voi dunque pregate così: “Padre nostro”»
02|20 «Voi dunque pregate così: “Padre nostro”»
M Mons. Vincenzo Paglia
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Vangelo (Mt 6,7-15) - In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Vincenzo Paglia

Gesù oggi ci dona la sua preghiera: il Padre nostro. Ci avverte anzitutto che la preghiera non consiste nel moltiplicare le parole come se contasse il loro numero e non il cuore con cui vengono pronunciate. Vuole invece mostrarci la via della preghiera diretta, quella che giunge direttamente, senza mediazioni, al cuore di Dio. Nessun altro, se non lui, avrebbe potuto insegnarla. Solo lui, che è il Figlio perfetto che conosce il Padre in profondità, poteva donare quelle parole che segnano la vita dei cristiani da sempre e dovunque. Gesù, amando i discepoli con un amore senza limiti, ci insegna la preghiera più alta, quella che Dio non può non ascoltare. E lo si comprende sin dalla prima parola: «abbà» (papà). Con questa semplice parola – è quella che ogni bambino piccolo dice al proprio padre – Gesù compie una vera e propria rivoluzione religiosa rispetto alla tradizione ebraica che portava a non nominare neppure il nome santo di Dio. Gesù, con questo inizio, ci coinvolge nella sua stessa intimità con il Padre. Non è lui che “abbassa” Dio a noi; piuttosto, innalza noi sino al cuore stesso del Padre «che sta nei cieli» tanto da chiamarlo “papà”. Il Padre, pur restando «nell’alto dei cieli», è però Colui che ci ama da sempre e che vuole la nostra salvezza e quella del mondo intero. È decisivo perciò che Gesù ci faccia chiedere il compimento della volontà del Padre. E la volontà di Dio è che nessuno si perda. Nessuno. Per questo ci fa chiedere: «Venga il tuo regno». E che venga presto, perché finalmente sarà riconosciuta la santità di Dio e tutti gli uomini vivranno nella giustizia e nella pace, ovunque, nel cielo e sulla terra. Nella seconda parte della preghiera Gesù ci fa chiedere al Padre di guardare la nostra vita di ogni giorno: gli chiediamo il pane, quello del corpo e quello del cuore. E poi ci fa azzardare una richiesta che in verità è molto esigente: «Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori». Sono parole ardue e a prima vita irreali-stiche: come ammettere che il perdono umano sia modello di quello divino? In verità, Gesù ci aiuta a esprimere nella preghiera una sapienza straordinaria. E lo capiamo nei versetti seguenti: «Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe». Questo linguaggio è incomprensibile per una società, com’è spesso la nostra, nella quale il perdono è raro, se non del tutto bandito, e comunque il rancore è un’erba che non riusciamo a sradicare. Ma forse proprio per questo abbiamo ancor più bisogno di imparare a pregare con il «Padre nostro». È la preghiera che salva perché ci fa scoprire la fraternità universale quando ci rivolgiamo verso Dio e lo invochiamo come Padre di tutti.