di Antonella Palermo – inviata a Torino
Fede e ragione devono ritrovare la loro alleanza. È il cuore del dialogo che stamani, 11 maggio, si è tenuto in una affollatissima sala rossa al Lingotto di Torino, nella terza giornata del Salone del Libro, tra monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, e il filosofo Massimo Cacciari. I due, moderati dal giornalista Rai Matteo Spicuglia e introdotti da Lorenzo Fazzini, responsabile editoriale della Libreria Editrice Vaticana, hanno voluto offrire un omaggio a Madeleine Delbrêl e Carlo Maria Martini: “vite che immaginano”, voci profetiche e pertanto perfettamente adatte ad essere ricordate in una edizione della fiera che ha scelto come tema quello della Vita immaginaria. L’incontro, che è stato di grande intensità e densità, è stato organizzato in collaborazione con la diocesi di Torino e con l’Unione degli Editori e Librai Cattolici Italiani (UELCI)
Delbrêl e Martini, preparazione e attuazione del Concilio
Carlo Maria Martini e Madeleine Delbrêl: due figure somiglianti, afferma monsignor Paglia, e complementari. “Se lei è tra coloro che ha preparato il Concilio Vaticano II, Martini è colui che lo ha messo in pratica. Con loro c’è un filo rosso che lega la Chiesa del ‘900, uno dei secoli più tragici della storia, un filo che ha permesso al Vangelo di parlare. Il Vangelo e la città”, sintetizza. Delbrêl, proclamata nel 1996 Serva di Dio, laica, che ha vissuto nella periferia comunista di Parigi, passata da un ateismo a una incarnazione autentica del Vangelo per le strade, una vita fatta di preghiera e politica, umanità e cristianesimo, dialogo e lavoro quotidiano, ammette Paglia, “è stata una presenza straordinaria e credo che dovremmo moltiplicarle queste donne nella Chiesa. Ha vissuto con la passione non di crescere nel numero di credenti, ma di essere tutti più umani”. E aggiunge che ha assunto in sé “una dimensione di maternità, di protezione, di impegno a relazionarsi nel rispetto che mi pare fondamentale in un mondo in cui l’individualismo la fa da sovrano”.
Cacciari: l’Europa è diventata pura immanenza
Cacciari ricorda con grande affetto, stima altissima e nostalgia, la figura del cardinale gesuita Carlo Maria Martini, suo amico, che è stato arcivescovo di Milano. “Credeva che la Bibbia dovesse essere un fermento generale della vita europea, credeva che poteva diventare un faro l’Europa se si fosse confrontata con questo grande codice”. Martini, secondo Cacciari, ha il merito di aver spostato l’accento dell’opera evangelizzatrice: “Era l’Europa che doveva diventare terra di missione, periferia. Su questa ‘città’ Gesù piange. L’Europa che è diventata oggi pura immanenza”, afferma Cacciari. Negli anni è cresciuto il pianto sulla città man mano che ci si allontanava dalla grande speranza conciliare, man mano, lamenta, che ci si rendeva conto che “il linguaggio della Bibbia, dei libri della Bibbia, si allontanava dal tirar fuori l’Europa dalla sua cecità”. Cita anche Papa Francesco, il filosofo, un Pontefice che secondo lui “grida” proprio questo “dramma”: che dobbiamo andare alle periferie sperando che qualcosa esca fuori da lì, laddove periferia è diventata l’Europa, appunto.
Paglia: l’iperindividualismo ha infettato la Chiesa
Cacciari si sofferma a ripetere che “l’atto di fede non si oppone alla ragione ma la fermenta”. Per il cardinale Martini questo era molto chiaro poiché era convinto che l’avversario da combattere fosse proprio l’indifferenza, la mancanza di ogni idea, di ogni volontà di trascendersi. “Non potrai mai avere fede in un trascendente se tu non ti trascendi”, precisa il filosofo con veemenza, evidenziando la grandissima necessità che oggi si avverte dello stile elegante e del pensiero acuto e lungimirante di Martini. Una eleganza frutto di un esercizio ascetico, della pedagogia ignaziana: assenza totale di vanità. “La verità – insiste ancora Cacciari – non è mai quieta e la fede è l’opposto di superstizione, non sta sopra (super), sta appesa alla croce. Oggi Martini si impone con questa domanda, da porsi nuovamente senza infingimenti: perché la cultura, nel senso antropologico, non interroga più la fede e viceversa?”. Nella stessa direzione si muove monsignor Paglia: “È l’iperindividualismo il vero deserto che è entrato anche nella Chiesa – denuncia -. Ci siamo lasciati infettare da quell’individualismo che abbiamo accolto. Oggi noi dobbiamo riscoprire una profezia che non c’è più. Non trovate nessuno che va a deporre nell’episcopio le armi della rivoluzione come accadde con le Br al tempo di Martini. Oggi ci sono invece patriarchi che inneggiano alla guerra”.
Recuperare l’alleanza tra fede e filosofia
Il presidente dell’Accademia per la Vita continua, addolorato: “Siamo al tempo dell’esilio. Ci sono perfino preti i quali dicono che nemmeno i funerali si possono celebrare pensando che è una perdita di tempo… Oggi la Chiesa deve riscoprire la profezia che noi non siamo per noi stessi. La profezia di Dio non è che la Chiesa si salvi, ma è che tutti i popoli si salvino. Il Vangelo in questo è per tutti, non può essere legato a una parzialità. La frattura fra fede e cultura già individuata da Paolo VI è ancora più profonda”. E torna a ricordare quanto andava predicando la Delbrêl: il Vangelo non va letto ma va accolto, altrimenti è lettera morta. “È sciocco e inutile salvarsi da soli. Come faccio ad essere cristiano senza di te e viceversa? La contaminazione fra fede e ragione è indispensabile”.
Sintonizzato è Cacciari, convinto di una fede ‘in veritas indaganda’, che deve recuperare la capacità di essere segno di contraddizione, “altrimenti non c’è fede, c’è superstizione, c’è accomodamento: ho la mia verità, la predico, chi mi ascolta mi ascolta, altrimenti pace. Filosofia e fede si possono incontrare oggi – scandisce – e credo sia davvero la grande scommessa: o c’è questo coraggio oppure sono accomodamenti al mondo”. L’incontro incarnato, ripete, è riscoprire il radicamento nella città. L’esempio di Martini è illuminante, lui che ha lavorato tutta la vita auspicando l’alleanza tra filosofia e fede, affinché entrambe si spogliassero delle proprie pretese di autonomia. Cacciari ricorda una delle omelie più belle che ha letto dell’arcivescovo, quella sul servo inutile. “Anche nella filosofia ci deve essere questa spoliazione dell’io perché ha tutto da cercare fuori di sé, del tutto povera deve essere così come l’atto di fede, del tutto povero”.
Monsignor Paglia conclude con una sferzata che mette a fuoco un paradosso della nostra società: “Finiamo che accogliere la vita respingendo i viventi. Non va bene. Recuperiamo la dimensione dell’agape, dell’amore gratuito che non chiede corrispondenza e che è la contraddizione più radicale alla società contemporanea. È quello che il Vangelo deve dire: in una politica parcellizzata, in una guerra che è follia, sembra che abbiamo perso il cuore del Vangelo: la gratuità che ci rende inseparabili gli uni gli altri. È il punto cruciale”. E proprio sul tema della natalità, tema che sta risultando purtroppo sempre più divisivo nell’opinione pubblica, il presule offre a Vatican News la sua lettura, all’indomani degli Stati Generali sulla Natalità: “Il tema della natalità è divisivo perché non se ne capisce il dramma. Purtroppo le infiltrazioni ideologiche avvelenano e inquinano e non permettono di affrontarlo con quella alleanza indispensabile di cui abbiamo bisogno. Io stesso sostengo che le donne sono molto di più che madri. Ma se la maternità non c’è è un problema serio per tutti. L’Europa non fa più figli, l’Africa esplode e questo ci deve far riflettere. Mi augurerei che ci sia maggiore ponderatezza e allarme su questo, non ideologico. È una alleanza storica che dobbiamo fare tutti”.