Secondo la Federazione internazionale dei giornalisti, nell’anno appena concluso hanno perso la vita 104 giornalisti e operatori dei media, più della metà nei territori della Striscia di Gaza sconvolti dal perdurare del conflitto israelo-palestinese. Numeri drammatici, a cui si sommano i 520 professionisti dell’informazione incarcerati in tutto il mondo, un dato in crescita rispetto ai dodici mesi precedenti (nel 2023 erano 427). Ma le difficoltà nei teatri di guerra per chi fa del giornalismo il proprio mestiere sono all’ordine del giorno, come testimonia anche la recente vicenda della reporter italiana Cecilia Sala, prigioniera nel carcere di Evin, in Iran, e al centro di una delicata contesa internazionale che si intreccia alla detenzione dell’ingegnere Mohammad Abedini, arrestato all’aeroporto di Milano Malpensa pochi giorni prima del fermo di Sala.
Giornalista-studente. Eppure, in un contesto internazionale così complesso e che rende difficile il lavoro del giornalista, ci sono storie a lieto fine che lasciano intravedere la luce della speranza in fondo a un tunnel altrimenti oscuro. Mohammed Omran Astal, noto con lo pseudonimo di Mohamed Solaimane, è un reporter di Gaza impegnato a testimoniare l’impatto della crisi umanitaria che dal 7 ottobre 2023 è tornata a gravare sulla popolazione della Striscia. Nelle scorse settimane ha raccontato sui social di aver conseguito il dottorato in Media Studies presso il Dipartimento scientifico dell’Università del Sacro Corano in Sudan con una tesi intitolata “Rappresentanza delle organizzazioni della società civile nei nuovi media e atteggiamenti delle élite palestinesi”. Il reporter ha ricevuto pubblicamente i complimenti da parte del sindacato dei giornalisti palestinesi, ma il suo percorso di studi ha risentito di enormi ostacoli fin dall’inizio. “Di giorno raccontavo gli orrori della guerra, di notte lavoravo alla mia tesi a lume di candela”, ha dichiarato a El Pais, firmando egli stesso anche una testimonianza della sua vicenda.
Scrivere sotto una tenda. Per concludere le oltre cinquecento pagine presentate alla commissione, il reporter non ha trovato altra sistemazione che una delle numerose tende per sfollati ad Al Mawasi, dopo che la sua casa di Khan Younis è stata distrutta dai bombardamenti israeliani. Il racconto prosegue con il momento della discussione, all’interno di una stanza dell’autorità per le telecomunicazioni della Striscia, uno dei pochi posti in cui la connessione internet consentiva un collegamento con l’estero. “La giornata avrebbe dovuto essere felice, ma si è svolta sullo sfondo assordante della guerra: la sala era silenziosa, ad eccezione del ronzio dei generatori elettrici”, continua Solaimane, sottolineando poi come la sua famiglia fosse assente per non correre il rischio di viaggiare lungo strade distrutte dalla guerra: “un duro promemoria di come il conflitto abbia eroso anche le gioie più semplici”.