02|27 Non fanno ciò che dicono
02|27 Non fanno ciò che dicono
M Mons. Vincenzo Paglia
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Vangelo (Mt 23,1-12) - In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati «rabbì» dalla gente. »Ma voi non fatevi chiamare «rabbì», perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate «padre» nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare «guide», perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo. Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Vincenzo Paglia

Gesù si trova nel tempio e l’evangelista riporta l’ultimo discorso da lui pronunciato in pubblico. L’intero capitolo è un severo ammonimento a scribi e farisei e nello stesso tempo un richiamo alla folla a non lasciarsi ingannare dal loro insegnamento. Essi sono essi i veri pastori del popolo del Signore. Gesù comunque più che attaccare la loro dottrina – che anzi afferma essere giusta e degna di essere custodita – si scaglia contro il loro comportamento che è distante dalla vera tradizione. Infatti, scribi e farisei debbono essere ascoltati quando insegnano ciò che Mosè comanda, ma non essere seguiti quando invitano ad imitare la propria condotta e le proprie disposizioni. Gesù denuncia lo sdoppiamento della coscienza di queste guide. È ovvio che ciò vale per tutti, anche per i credenti di oggi. Spesso nel Vangelo Gesù mette in guardia i discepoli da un ascolto senza la relativa attuazione pratica. Al termine del lungo discorso della montagna afferma: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che sta nei cieli” (Mt 7,21). L’osservanza della Parola è la beatitudine del credente, come Gesù stesso rispose a colei che elogiava il grembo che l’aveva allattato: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!” (Lc 11,28). I farisei e gli scribi con la loro condotta manifestano una religiosità esteriore, priva di interiorità, di profondità e quindi anche di vera autorevolezza. Non basta portare i “filatteri” (piccole teche contenenti rotolini di pergamena con passi biblici, legate al braccio sinistro e sulla fronte) e neppure allungare “le frange” (treccine di tessuto munite di un cordoncino violaceo e blu poste ai quattro angoli della veste esterna). Non è neppure sufficiente ricercare i primi posti nei conviti o i primi seggi nelle sinagoghe per toccare il cuore di chi ascolta. C’è bisogno di interiorità, ossia di un ascolto attento e profondo della Parola di Dio, anzitutto per se stessi. Solo dopo aver ascoltato è possibile comunicare quanto si è ricevuto. Altrimenti si comunica solo esteriorità. Così i cuori non cambieranno. Per questo Gesù polemizza contro i titoli “accademici” che scribi e sacerdoti esigevano dal popolo e dai loro discepoli. Tra questi cita il più noto, “rabbì” che vuol dire “mio maestro”. A questo punto - siamo al versetto 8 - Gesù si rivolge ai discepoli come a volerli mettere in guardia dal cadere nella stessa esteriorità che ha rimproverato ai farisei: “Ma voi non fatevi chiamare ‘rabbì’, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate ‘padre’ nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre, quello celeste” (vv. 8-9). È l’affermazione radicale della fraternità tra tutti i discepoli che si basa appunto sull’unica paternità di Dio, come anche sull’unica “guida” (v.10) che è il Cristo. Con questo Gesù allontana ogni vuota concezione democratica della comunità per indicare la centralità della comunione tra i discepoli che si fonda e si sostanzia del mistero stesso di Dio, che è Padre, Figlio e Spirito Santo. In questa comunione sono come rovesciati i criteri del mondo: “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato” (v. 11-12). È quel che Gesù mostrerà tra poco ai discepoli durante l’ultima cena: lui, il Maestro e il Signore, lava i piedi ai discepoli. È la via della santità.