03|27 Guai al traditore!
03|27 Guai al traditore!
M Mons. Vincenzo Paglia
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Vangelo (Mt 26,14-25) - In quel tempo, uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariòta, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d’argento. Da quel momento cercava l’occasione propizia per consegnare Gesù. Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a tavola con i Dodici. Mentre mangiavano, disse: «In verità io vi dico: uno di voi mi tradirà». Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono ciascuno a domandargli: «Sono forse io, Signore?». Ed egli rispose: «Colui che ha messo con me la mano nel piatto, è quello che mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come sta scritto di lui; ma guai a quell’uomo dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito! Meglio per quell’uomo se non fosse mai nato!». Giuda, il traditore, disse: «Rabbì, sono forse io?». Gli rispose: «Tu l’hai detto».

Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Vincenzo Paglia

Il racconto del tradimento di Giuda suscita sempre sentimenti di dolore e di sconcerto. Giuda arriva a vendere il suo Maestro per trenta denari (il prezzo del riscatto di uno schiavo). E quanta amarezza c’è nelle parole iniziali del Vangelo che oggi abbiamo ascoltato: «Uno dei Dodici»! Sì, uno dei più amici. Uno che Gesù si era scelto e che aveva amato e curato, ed anche difeso dagli attacchi degli avversari. E ora è proprio lui che lo vende ai nemici. Giuda si era lasciato sedurre dalla ricchezza e aveva approfondito così la distanza dal Maestro sino a concepire e poi ad attuare il tradimento. Gesù, del resto, aveva detto chiaramente: «Non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6,24). Giuda finì per preferire la seconda. E si incamminò su quella via. Ma la conclusione di questa avventura è molto diversa da come lui pensava. E forse l’angustia iniziò proprio con la preoccupazione di trovare il modo e il momento per “consegnare Gesù”. Il momento stava per arrivare, avrebbe coinciso con la Pasqua, il tempo della immolazione dell’agnello in ricordo della liberazione dalla schiavitù dell’Egitto. Gesù sapeva bene quel che lo attendeva: «Il mio tempo è vicino». Chiese ai discepoli di preparare la cena pasquale, la cena dell’agnello, mostrando così che non era Giuda che lo “consegnava” ai sacerdoti, ma lui stesso si “consegnava” alla morte per amore degli uomini. Gesù avrebbe potuto allontanarsi da Gerusalemme e ritirarsi in un luogo deserto. Sarebbe certamente sfuggito alla cattura. Ma non lo fece. Restò a Gerusalemme. E decise di celebrare la cena nella quale gli ebrei ricordano la decisione di Dio che si riappropriava del suo popolo liberandolo dalla schiavitù dell’Egitto. La domanda d’amore posta da Gesù quella sera, continua a risuonare alle orecchie di ogni discepolo, anzi di ogni uomo: la passione di Gesù non è terminata. E il bisogno di amore sale soprattutto dai poveri, dai deboli, dai soli, dai condannati, da coloro che hanno la vita martirizzata dalla cattiveria. E tutti dobbiamo essere attenti ad allontanare da noi quell’istinto di tradimento na-scosto nel cuore di ognuno. Anche Giuda quella sera, per nascondere il suo animo agli altri, osò dire: «Rabbì, sono forse io?». Interroghiamoci sui nostri tradimenti, non per lasciarcene schiacciare, ma per legarci ancor più a Gesù che continua a prendere sulle spalle i peccati del mondo. Anche i nostri.