Caro direttore,
la legge delega per le politiche in favore della popolazione anziana, nota come Dl 506, è stata approvata pochi giorni fa dal Senato, senza voti contrari e con l’astensione di Pd e 5 Stelle, che pure hanno contribuito in Commissione alla sua elaborazione. È davvero una buona notizia! Si tratta di una grande riforma che aspettavamo da decenni — l’aspettavano soprattutto gli anziani e che coinvolge l’intero Paese poiché richiede una nuova visione dell’invecchiamento come anche dell’assistenza e della sostenibilità del suo modello civile ed economico. Va dato atto all’attuale governo, che ringrazio di cuore, di questa volontà che ha permesso alla legge delega, già approvata dal Consiglio dei ministri del presidente Draghi, di essere finanziata e portata in Parlamento per l’avvio di una concreta realizzazione. Il ministero del Lavoro e quello della Salute, insieme alla presidenza della Decima Commissione, hanno portato avanti un progetto di riforma ambizioso. Una legge che si può definire storica: è la prima volta nel nostro Paese, ma non solo, che è apparsa quella che possiamo chiamare la vecchiaia «di massa». Ben 14 milioni di cittadini, quasi uno su quattro, hanno superato la soglia e vivono i loro 65 anni e oltre. Ma ci siamo arrivati senza una consapevolezza chiara: tanto che non abbiamo inventato quasi nulla per i 30 anni in più che sono stati guadagnati negli ultimi due secoli. Certo, abbiamo conquistato la pensione, ma non un modo completo di vivere la vecchiaia, se non con farmaci e ricoveri. È troppo poco, se paragonato a quanto abbiamo inventato per i primi trent’anni di vita. Alla fine del secolo XIX, di fronte al numero enorme di bambini, ci siamo inventati l’infanzia. Oggi ci presentiamo allo storico traguardo di un indice di invecchiamento prossimo a 200 — 200 anziani ogni 100 bambini under 15 — con idee superate o piuttosto confuse: dobbiamo inventarci la vecchiaia. Ebbene, il disegno di legge delega che il Senato ha approvato, risponde al bisogno fortissimo e improcrastinabile di ripensare gli ultimi trenta anni di vita, in maniera organica: come vivere questi anni?
L’inizio del nostro percorso, lo ricordo, con la Commissione per la riforma della assistenza sanitaria e sociosanitaria della popolazione anziana nominata dal ministro Speranza e che mi onoro di presiedere, è dato dalla contraddizione che il Covid ha fatto emergere: la società allunga la vita, ma non la sa mantenere. La pandemia ha svelato la pessima condizione dell’assistenza residenziale, la sua precarietà, confermata dalla strage di anziani in tutto il mondo. La pandemia ha rivelato che abbiamo supinamente fatto crescere Rsa, case di riposo, case famiglia e tante altre fantasiose sigle per rispondere — malamente — a tre grandi crisi: quella della famiglia e della solitudine, che imponeva la delega dell’assistenza ad altri attori; quella del declino demografico e dello spopolamento che fa mancare servizi proprio laddove cresce il mondo degli anziani; e quella del divorzio tra sociale e sanitario come sfere di sovranità totalmente separate e reciprocamente ignoranti. La legge delega cerca di sanare tutto questo, a partire da un impianto teorico di nuova concezione, attraverso un’implementazione ispirata a modelli di co-programmazione, co-progettazione e co-sperimentazione. Sono ben consapevole che la legge va perfezionata. Di qui l’importante lavoro per i decreti attuativi.
La stesura di una Carta dei Diritti degli anziani e dei Doveri della comunità incardina l’intero disegno su tre pilastri: il diritto al rispetto e alla dignità, il diritto dell’anziano a scegliere in autonomia e con adeguate informazioni il tipo di assistenza cui aspira, soprattutto quello di rimanere nella propria abitazione, il diritto e la protezione a una vita di relazione. Papa Francesco, che ha potuto vedere questa Carta, l’ha portata pubblicamente come esempio di cura per gli anziani. Non sono principi astratti ma fondamento di un modo nuovo di vedere l’anziano e di concepire la vecchiaia: non uno scarto o, peggio, un problema; nemmeno solo corpo da curare e alimentare; non gravame assistenziale e fattore di destabilizzazione dei bilanci ma persona, cittadino, capace di partecipare, vivere e contribuire. Allora occorre ripensare e rivalutare in positivo l’enorme capitale sociale di 14 milioni di cittadini, con la loro esperienza, le loro energie e aspirazioni.
Mentre il disegno di legge delega si avvia a essere esaminato dalla Camera, invito i parlamentari ad accogliere il cambio di paradigma che presiede la legge. È questa la vera novità, ossia la presa in carico di tutti gli anziani, che avviene attraverso un articolato continuum assistenziale. Questo suppone l’incontro tra sociale, sanitario e assistenziale per poter avviare una risposta coordinata e appropriata, con la collaborazione di ospedale, Asl, Comune o Ambito territoriale sociale e Inps a tutti i livelli.
Non mi dilungo sulla legge. Ma sottolineo che questa prospettiva si è via via consolidata con il contributo di tutti i partiti. E non è solo un caso che sia frutto dei due ultimi governi. La sua approvazione pone l’Italia al primo posto per come onora i propri anziani. Un insegnamento offerto alle giovani generazioni da parte dei parlamentari che preparano anche per esse una vecchiaia degna di essere vissuta.