Storia n° 8
Storia n° 8
M Mins. Vincenzo Paglia
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La lettera di Maria

Molti anni fa è stata pubblicata su numerosi quotidiani nazionali e locali, una appassionata lettera – appello di un’anziana ricoverata in istituto che ci sembra riassumere bene il senso e le finalità del documento. Ci sembra significativo per la sua espressività e la sua chiarezza metterla a conclusione di questo nostro lavoro.

Ho quasi settantacinque anni, vivo da sola a casa mia, la stessa in cui stavo con mio marito, quella che hanno lasciato i miei due figli quando si sono sposati.

Sono sempre stata fiera della mia autonomia, ma da un po’ non è più come prima, soprattutto quando penso al mio futuro. Sono ancora autosufficiente, ma fino a quando? Tra me e me m’accorgo che i gesti diventano giorno per giorno un po’ meno disinvolti, anche se mi dicono ancora: “Fossi io come lei alla sua età ...”. Uscire per la spesa e tenere la casa mi fa una fatica crescente.

E allora penso: “Quale sarà il mio futuro?”. Quando ero giovane la risposta era semplice: con tua figlia, col genero, con i nipoti. Ma adesso come si fa, con le case piccole e le famiglie in cui lavorano tutti? Allora anche adesso la risposta è semplice: l’istituto.

È martellante, lo dicono tutti, però tutti sanno anche, e non lo dicono, che nessuno vorrebbe lasciare la sua casa per andare a vivere in un istituto.

Non posso credere davvero che sia meglio un comodino, uno spazio angusto, una vita tutta anonima alla propria casa, dove ogni oggetto, un quadro, una fotografia, ricordano e riempiono anche una giornata senza tante novità. Sento spesso in giro chi dice: “L’abbiamo messo in un bell’istituto, per il suo bene”. Magari sono sinceri, ma loro non ci vivono.

Ammettiamo pure di non capitare in uno di quei posti da telegiornale, dove gli fa fatica pure darti l’acqua se hai sete, o ti maltrattano solo perché si sentono frustrati del lavoro che fanno.

Però non credo proprio che sia un istituto la risposta a chi sta un po’ male e, soprattutto sta solo.

Ritrovarsi a vivere all’improvviso con persone estranee, non volute e non scelte è davvero un modo per vincere la solitudine? So bene come si vive in istituto. Succede che vuoi riposare e non ci riesci perché non sopporti il rumore degli altri, i colpi di tosse, le abitudini diverse dalle tue.

Si dice che da vecchi si diventa esagerati. Ma non è un’esagerazione immaginarsi che se vuoi leggere c’è chi vuole la luce spenta o che se vuoi vedere un programma, o se ne guarda un altro o non è orario.

In un ricovero anche i problemi più banali diventano difficili: avere ogni giorno il giornale, riparare subito gli occhiali quando si rompono, comprare le cose che ti servono se non puoi uscire.

Capita spesso che ti scambino la biancheria con quella di un’altra dopo la lavanderia e poi non puoi tenere niente di tuo. Quello che è peggio, ammesso che il mangiare non sia cattivo, è che non si può decidere quasi niente: quando alzarsi e quando restare a letto, quando accendere e quando spegnere la luce, quando e cosa mangiare. E poi, quando uno è più anziano (ed è più imbarazzato perché si sente meno bello di una volta), è costretto ad avere tutto in comune: malattia, debolezze fisiche, dolore, senza nessuna intimità e nessun pudore.

C’è chi dice che in istituto “hai tutto senza pesare su nessuno”. Ma non è vero. Non si ha tutto e non è l’unico modo per non dare fastidi ai propri cari.

Un’alternativa ci sarebbe: Poter stare a casa con un po’ di assistenza e, quando si sta peggio o ci si ammala, poter essere aiutati a casa per quel tempo che serve. Siamo in tanti, infatti, che potremmo rimanere a casa anche soltanto con un piccolo aiuto, o con l’assistenza sanitaria a domicilio. E non è vero che tutto questo costa troppo. Questi servizi costano tre o quattro volte meno di un mio eventuale ricovero in una lungodegenza o in istituto. Succede che finisci in un istituto e che nemmeno l’hai deciso tu. Non capisco perché si rispettano le volontà di un testamento e invece non si viene ascoltati da vivi se non si vuole andare in istituto.

Ho sentito alla TV che qui in Italia sono state stanziate migliaia e migliaia di miliardi per costruire nuovi istituti. Se abitassi in una baracca ne sarei pure contenta. Ma io una casa e un letto, il mio “posto letto” già ce l’ho, non c’è bisogno di creare nuove cucine per prepararmi il pranzo, potete usare la mia. Non ho bisogno che mi costruiate una nuova grande sala per vedere la TV, ho già la mia televisione in camera. Il mio bagno funziona ancora bene. La mia casa, semmai, necessita soltanto di qualche corrimano e maniglia al muro: vi costerebbe molto meno.

Quello che desidero per il mio futuro è la libertà di poter scegliere se vivere gli ultimi anni della mia vita a casa o in istituto. Oggi questa libertà non ce l’ho. Per questo, anche se non più giovane, voglio ancora far sentire la mia voce e dire che in istituto non voglio andare e che non lo auguro a nessuno. Aiutate me e tutti gli anziani a restare a casa e a morire fra le proprie cose. Forse vivrò di più, sicuramente vivrò meglio.

Maria.