Il contesto
Monsignor Vincenzo Paglia - Presidente della Commissione
Il diritto alla tutela della dignità della persona anziana
Il primo capitolo della Carta, dedicato alla tutela della dignità delle persone anziane, fissa due importanti principi: «1.1 La persona anziana ha il diritto di determinarsi in maniera indipendente, libera, informata e consapevole con riferimento alle scelte di vita e alle decisioni principali che lo riguardano. 1.2 È dovere dei familiari e di quanti interagiscono con la persona anziana fornirgli, in ragione delle sue condizioni fisiche e cognitive, tutte le informazioni e conoscenze necessarie per una autodeterminazione libera, piena e consapevole».
Diritti e doveri qui concorrono a lavorare per un contesto dove la libertà di scelta non sia una parola vuota, diritto sulla carta. E viene individuato nello stesso tempo uno dei più grandi problemi della vita da anziani: la privazione della possibilità di scegliere. Lo spiega bene il commento ai due articoli: «Nella terza età si entra spesso in un cono d’ombra, determinato apparentemente dalle condizioni di salute e dalla fragilità, in realtà espressione di un pregiudizio di ageismo, secondo cui le persone anziane non hanno più capacità di decisione autonoma, così come quella di gestione indipendente della propria vita. È necessario distinguere una valutazione di dipendenza fisica o cognitiva dalla presunta incapacità di decisione, spesso trasformata in implicita interdizione.
Il fatto che una persona anziana abbia perso alcune capacità fisiche e strumentali per vivere la vita quotidiana (lavarsi, alimentarsi, far uso del denaro, dei mezzi di trasporto, ecc.) non deve tramutarsi automaticamente in un giudizio di incapacità di decidere, ed essere automaticamente sostituito dalle decisioni della famiglia, dei caregiver o dell’amministratore di sostegno, abusi che ricorrono ad esempio quando si impedisce alla persona anziana di scegliere il tipo e la qualità di cibo, di disporre dei propri documenti di identità o di pagamento elettronico».
Faccio qui una notazione a partire dal dibattito sul green pass, sull’obbligo vaccinale, che ha animato le pagine dei giornali di questo tempo di pandemia, per la preoccupazione sui limiti alle libertà personali. Ebbene, non c’è stata una riga sulla ben più radicale mancanza di libertà presso gli anziani, soprattutto di quelli istituzionalizzati. Una recente inchiesta del New York Times, dell’11 Settembre 2021, descrive l’uso di farmaci antipsicotici sistematicamente somministrati agli anziani
ospiti delle nursing home, dei meccanismi per aggirare le norme di legge, dei motivi e degli effetti. Si tratta di un tragico utilizzo della contenzione chimica, esteso al 21% degli ospiti delle case di riposo negli Stati Uniti. Una delle scorciatoie utilizzate, ad esempio, è quella di fare diagnosi di schizofrenia, utilizzata in 1 anziano ogni 9 in queste strutture, mentre a livello della popolazione generale il dato si ferma ad 1 su 150, una discrepanza enorme. Oltre 200.000 anziani nelle case di riposo statunitensi hanno ricevuto diagnosi e “cure”. Il fenomeno non è nuovo se si pensa che ad indagare su di esso, è stata una Commissione senatoriale del lontano 1976 dall’eloquente titolo: “Nursing Home Care in the United States: Failure in Public Policy”.
La contenzione chimica è diffusa anche in Italia. Non se ne conoscono le esatte dimensioni, ma rappresenta un esempio davvero scandaloso di privazione delle libertà personali. È il baratro in cui cadono tanti anziani in strutture, in particolare quelle abusive, che utilizzano la contenzione chimica per risolvere i problemi di carenza di personale, di opacità della pianta organica, di utilizzo del precariato fra case di riposo diverse e via dicendo. La Commissione per la riforma della assistenza agli anziani, attraverso la Carta, vuole ribadire i diritti degli anziani, denunciando gli abusi e prospettando il nuovo orizzonte in cui iscrivere il futuro degli anziani. La condanna della contenzione è chiara anche nell’art. 3.6 “La persona anziana ha il diritto alla salvaguardia della propria integrità psico-fisica e di essere preservato da ogni forma di violenza fisica e morale e di forme improprie di contenzione fisica, farmacologica e ambientale, nonché di abuso e di negligenza intenzionale o non intenzionale”.
Il relativo commento propone addirittura la soluzione possibile: «Particolarmente importante appare la lotta a tutte le forme improprie di contenzione fisica, farmacologica e ambientale.
Tale protezione dovrebbe essere assicurata indipendentemente dal fatto che violenze, abusi, negligenze avvengano in casa, all’interno di un’istituzione o altrove.
La più efficace forma di prevenzione di questo tipo di abusi non è rappresentata dal ricorso a mere forme di controllo tecnologico quale ad esempio l’utilizzo delle videocamere, ma dalla possibilità di coltivare anche nei luoghi di cura la vita di relazioni e l’interazione con l’esterno da parte delle persone anziane: la presenza di visitatori e di volontari costituisce la miglior protezione contro gli abusi che possono perpetrarsi in spazi chiusi».
Queste considerazioni hanno spinto la Commissione a proporre una via di riforma delle RSA. Cito qui un passaggio della mia presentazione del piano di riforma al Presidente Draghi il 1° settembre: «1) le RSA debbono essere residenze aperte, alla famiglia, al volontariato, alla società civile, disponendo al proprio interno della possibilità di ospitare centri diurni, di telemedicina, di centri erogatori dei servizi di prossimità e di assistenza domiciliare integrata. Il grado di apertura ed interscambio con l’esterno entra tra i criteri di accreditamento e di valutazione della qualità delle singole strutture. Si intende con ciò scongiurare per il futuro la temibile e diffusa condizione di isolamento e solitudine, che si è purtroppo verificata con la pandemia da Coronavirus. Nell’ambito del continuum assistenziale ed in relazione agli Ospedali, le RSA possono assumere un ruolo nelle cure di transizione, in vista del reinserimento finale dell’anziano riabilitato e stabilizzato presso la propria abitazione. 2) Proprio per questo cambiamento di funzione, vengono rivisti gli standard di personale, delle attrezzature obbligatorie e dello staff sanitario, infermieristico e riabilitativo necessario al buon funzionamento della RSA. 3) Tali avanzamenti richiederanno una revisione del sistema tariffario da un lato ma anche la trasparenza e l’obbligo di pubblicazione della pianta organica del personale in dotazione dall’altro».
Si promuovono, dunque, tre cambiamenti: l’assoluta prescrizione dell'apertura della struttura all’esterno come criterio di accreditamento, il cambiamento di funzione delle cure residenziali come parte di un continuum in equilibrio dinamico come momento transitorio e non come stazione terminale, il rigoroso controllo e la trasparenza della pianta organica, nonché il suo appropriato potenziamento. Combattere l’abusivismo significa anche pretendere che tutte le strutture siano aperte e totalmente trasparenti, accessibili e permeabili, in ingresso ed uscita. Una delle più significative lesioni della libertà di scelta dell’anziano, è l’impossibilità fisica di incontrare o uscire da dette strutture, nell’ambito di un regime che si può correttamente definire carcerario.
Vorrei ora tornare, per un secondo esempio, agli articoli 1 e 2 che tutelano la libertà di scelta dell’anziano. Dove vivere gli anni della propria vecchiaia? Si tratta di una delle scelte fondamentali da tutelare: quella di rimanere a casa. Troppo spesso sono i parenti a decidere, o anche gli amministratori di sostegno, che con troppa disinvoltura talvolta si prendono competenze che riducono l’anziano al ruolo di persona implicitamente interdetta. Ma ancor peggio, troppo spesso la scelta è dettata dalla totale mancanza di servizi di assistenza domiciliare, o dalla impossibilità economica di accedervi. Se da un lato la scelta di gran lunga maggioritaria degli anziani, è quella di rimanere a casa, si vede che molti ostacoli concorrono a renderla difficile, addirittura ardua o impossibile in presenza di malattie e condizioni invalidanti, o delle difficoltà e volontà di parenti e tutori. Cosa dice la Carta in proposito? L’Articolo 1.9 enuncia il principio secondo il quale «La persona anziana ha il diritto di permanere per quanto più a lungo possibile presso la sua abitazione».
Si tratta di una riforma profonda che già dal titolo appare evidente: “l’abitazione come luogo di cura per gli anziani”. Il motivo è semplice e credo inoppugnabile: per chi è avanti negli anni la casa è il luogo dei propri affetti e della propria memoria, della storia e del vissuto. Perderla vuol dire perdere la memoria, come scriveva Camilleri, abbandonare le proprie radici e, alla fine, se stessi.
Accade tuttavia che l’anziano spesso perde la casa per motivi familiari, per ragioni economiche, soprattutto per mancanza di servizi. La Commissione ha approfondito, in collaborazione con ISTAT, il tema delle condizioni degli over 75. Senza dilungarmi sulle risultanze dello studio, ormai pubblicato, osservo solo che in quella fascia di età si trovano oltre un milione di anziani con gravi difficoltà motorie e nelle attività fisiche e strumentali della vita quotidiana, senza aiuto familiare, pubblico o privato, che vivono soli o con il coniuge anziano. Quale libertà di scelta hanno queste persone se non le tuteliamo con un adeguato supporto sociale domestico? Si pensi alle barriere architettoniche, alle case senza ascensore, ai ripidi centri montani, insomma alle difficoltà di chi vive senza un accompagnamento. Per queste ragioni la Commissione raccomanda un potenziamento senza precedenti della cosiddetta ADI, Assistenza Domiciliare Integrata continuativa. L’articolo 1.10 prevede che «La persona anziana nel caso di mancanza o perdita della propria abitazione ha diritto di accedere ad adeguate agevolazioni economiche per poter disporre di una dimora adeguata». Nel relativo commento si spiega che «il diritto della persona anziana di permanere nella propria abitazione, così come di muoversi liberamente tanto negli spazi privati quanto in quelli pubblici, richiede un crescente impegno per l’abbattimento delle barriere architettoniche, intervento molto spesso condizionato da normative e procedure amministrative complesse e farraginose, che di fatto finiscono per ledere il diritto alla mobilità delle persone. Il diritto alla casa e all’abitazione deve sostanziarsi anche nel diritto all’accesso immediato ad una abitazione a canone agevolato in caso di sfratto o di mancanza di una dimora. Non è infrequente il verificarsi di ricoveri impropri associati a cause economiche o per altre problematiche sociali, che comportano sofferenze e disagi sul piano personale per gli anziani ed ingiustificati costi su quello economico per la collettività. Il mancato ed inadeguato sostegno dei servizi sociali e sanitari si traduce spesso in una oggettiva lesione del diritto di abitare presso la propria dimora: si pensi alle centinaia di migliaia di anziani limitati da barriere architettoniche, la più comune delle quali è la mancanza di un ascensore per chi vive a piani alti».
Molto altro è racchiuso nella prima sezione ma, in sintesi, ho indicato i due esempi estremi che descrivono bene questo primo capitolo: dal diritto a non subire violenze, abusi e contenzione alla possibilità di poter restare a casa e scegliere come e con chi vivere. La radicale riforma necessaria parte da queste esigenze.