«Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio»
«Non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio»
M Mons. Vincenzo Paglia
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Romani 7,18-25a | Scorgiamo l’esperienza descritta da Paolo nella vita di ciascuno di noi: «In me, cioè nella mia carne, non abita il bene: in me c’è il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti, io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio». Sembra che l’io non si riconosca nel proprio comportamento. Eppure, prendere co-scienza di questa contraddizione insita nel profondo della vita di ciascuno significa cogliere il nostro limite e la nostra finitezza radicali. Ma è di qui che nasce la preghiera al Signore perché venga in aiuto alla nostra debolezza. La prima lotta che il credente è chiamato a combattere è proprio quella al suo interno, nel suo stesso cuore, nella sua stessa vita perché non prevalga l’uomo carnale e cresca di giorno in giorno quello spirituale. La co-scienza della propria debolezza spinge a rivolgersi a Dio che non fa mancare la sua Parola e il suo aiuto a chi glielo chiede con fede. L’interrogativo finale: «Chi mi libererà da questo corpo di morte?» è come un’angosciata preghiera al Signore. L’apostolo, consapevole della propria debolezza, sa bene che solo il Signore può salvarlo dalla spirale del male. E risponde alla domanda con un atto di fede in Dio.