XXIII del tempo ordinario
XXIII del tempo ordinario
M Mons. Vincenzo Paglia
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Sap 9,13-18; Sal 90 (89); Fm 9b-10.12-17; Lc 14,25-33 | Il Vangelo ci presenta Gesù che riprende il suo cammino verso Gerusalemme. L’evangelista fa supporre che Gesù stia avanti a tutti, come a guidare il cammino: i suoi occhi sono rivolti verso la meta, Gerusalemme. Ma ecco che ad un certo momento Gesù “si voltò” verso la numerosa folla che lo seguiva. Non si volta per un senso di compiacimento, ma per quella compassione che Gesù ha avuto sin dall’inizio sulle folle, come scrive Matteo: “vedendo le folle ne sentì compassione”(9, 36). E non cessa di «voltarsi» verso di esse, ancora oggi. Ogni volta che il Vangelo viene annunciato, soprattutto nella santa Liturgia, è il Signore che si volta verso di noi per parlarci. Oggi, memoria liturgica di san Gregorio Magno, sentiamo ancor più viva la responsabilità di ascoltare la Parola di Dio. Questo grande vescovo che ha guidato la Chiesa di Roma in un tempo particolarmente difficile ha saputo vivere e spiegare la Bibbia come la “lettera di Dio agli uomini” di ogni tempo.

Nel brano ascoltato, Gesù – sapendo bene quel che lo aspettava a Gerusalemme – dice alle folle che lo seguono: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la pro­pria vita, non può essere mio discepolo» (v. 26). Sono parole severe. In nessun altro punto del Vangelo si parla con tanta serietà della sequela. Luca, a differenza del brano parallelo di Matteo (10, 37), dettaglia i rapporti di parentela, come a non volerne escludere nessuno. E ognuno sotto­stà al severo verbo, «odiare». Per essere di­scepoli non basta seguire Gesù fisi­camente, bisogna tagliare tutti i legami, appunto, «odiare» padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle e persino se stessi. Certo, queste parole vanno col­locate nel contesto linguistico semitico, che essendo una lingua semplice, per dire «amare meno» si dice «odia­re». Ma non si può neutralizzare la radicalità della sequela di Gesù. Nessun’altra scelta può stare alla pari. Altre volte Gesù lo ha detto: “Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”(Mt 6,33). Non è questione di severità, è questione del primato dell’amore con cui Gesù ci ha salvato dal Maligno. E’ questo suo amore senza confini che salva dal Male. E si comprende allora quanto continua a dire: «Chi non por­ta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo» (v. 27). La croce di cui Gesù parla - e che il discepolo deve prendere sulle sue spalle - non è quella dei propri guai, anche gravi e che fa dire “devi prenderti la croce che ti è capitata”. E’ una distorsione spirituale dell’Io, che ancora una volta vuole vincere. Gesù parla della croce che lo attende a Gerusalemme. “Prendere la propria croce” significa perciò accogliere nella propria vita quella “Croce” e portarla nella piccola misura che il Signore ci chiede. E si porta pagando di persona. Ed è ancor più forte portarla anche assieme, come comunione di fratelli e sorelle. E’ il senso della testimonianza martiriale che viene chiesta alla Chiesa nel comunicare il vangelo dell’amore. Non si può togliere dal Vangelo quella dimensione di eroismo, di martirio, propria di Gesù. E’ la bella testimonianza di tanto cristianesimo contemporaneo, con i nuovi martiri. Pensiamo all’arcivescovo Romero, uno dei primi tra loro, che amava sottolineare questa dimensione ancor prima del suo martirio di sangue. In una omelia per un prete ucciso dagli squadroni della morte, diceva che il Concilio chiede a tutti i cristiani di essere martiri, ossia di dare la propria vita per il Vangelo e per i poveri. Pochi mesi dopo toccò anche a lui la morte per martirio. In questa santa liturgia Gesù si è voltato ancora su di noi e continua a parlarci per fare di noi un popolo che, con lui, percorre le strade del mondo di questo tempo, vivendo la sua stessa compassione sulle folle – sempre più numerose – colpite dalla guerra, dalla povertà, dall’indifferenza. E noi – consapevoli delle nostre pochezze e dei nostri peccati – lo seguiamo sostenuti dal suo sguardo che ogni sera non cessa anche di accompagnarsi e sostenerci. Davvero possiamo ringraziare il Signore perché la sua Parola è lampada per i nostri passi.

Prima Lettura ... | ...


Salmo Responsoriale

 


Seconda Lettura ... | ...


Vangelo ... | ...


Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia

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