Paolo di fronte alla sua vocazione
Paolo di fronte alla sua vocazione
M Mons. Vincenzo Paglia
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1 Timoteo 1,1-2.12-14 | Paolo, richiamando la missione affidatagli di predicare il Vangelo, ricorda il momento in cui il Signore gli è venuto incontro sulla via di Damasco. E lo ringrazia per la grande bontà e misericordia perché lo ha chiamato mentre era «un bestemmiatore, un persecutore e un violento». Paolo si chiede come Dio abbia potuto sceglierlo, malgrado tutto ciò. E vive come un miracolo l’essere stato giudicato degno di servire il Vangelo. Paolo sa che l’unica ragione della sua missione viene dall’alto: «Mi è stata usata misericordia». Come è, peraltro, per ogni discepolo. Paolo, in ogni caso, non giustifica la vita passata a motivo della sua ignoranza del Vangelo. Riconosce che si era lasciato guidare dalla forza cieca del male che porta sempre alla violenza ingiustificata e ingiustificabile. E per questo è ancora più grande la sua gratitudine a Dio per il dono ricevuto «in misura sovrabbondante». Da quel momento l’apostolo vive una nuova vita in comunione con Cristo, da cui attinge la forza della fede e l’urgenza della carità. Non dimentica la vita passata, che ha ormai rinnegato, ma il suo ricordo diviene motivo di umiltà e di riconoscenza. E si definisce «il più piccolo tra gli apostoli», non «degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio» (1Cor 15,9), «l’ultimo fra tutti i santi» (Ef 3,8). È divenuto ora esempio per i discepoli di tutti i tempi. Egli è la testimonianza chiara che nessuno è a tal punto lontano da Dio da non poter essere raggiunto dalla misericordia di Dio. La confessione di lode termina in una preghiera di ringraziamento. Del resto come non rendere l’onore più grande al Signore che mostra un amore così largo per i peccatori?