Numeri 11,4b-15 | Questa pagina biblica si apre con il lamento del popolo di Israele che non ha cibo a sufficienza, come non era accaduto nemmeno in Egitto, durante la schiavitù. In quegli anni terribili vi era anzi grande varietà di cibi che il testo enumera: «Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto gratuitamente, dei cetrioli, dei cocomeri, dei porri, delle cipolle e dell’aglio» (v. 5). Ora hanno solamente la manna. Ma il fatto di averne solo una porzione al giorno indicava che si dovesse avere fiducia totale in Dio che, appunto, forniva il necessario giorno dopo giorno. Anche Gesù dirà: «Non preoccupatevi dunque dicendo: ‘Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?’ Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno» (Mt 6,31-32). È il rifiuto di accontentarsi dei doni di Dio a indurre gli israeliti a lamentarsi. Il male insinua sempre la convinzione di non avere a sufficienza, di essere quindi abbandonati, senza però vedere i tanti segni della misericordia e della presenza di Dio. Così veniamo presi dalla “bramosia”, dalla tentazione di possedere, di consumare, di misurare, di avere oggi, di ottenere la ricompensa. Il passato diventa nostalgia di quello che si è lasciato, dimenticando quanto in realtà fossimo degli schiavi e il cibo fosse pieno di amarezza. E quando guardiamo indietro non sappiamo più riconoscere i doni che abbiamo ricevuto. Mosè comunque ascolta il lamento del popolo e lo fa suo. Sente tutta la sua inadeguatezza e la presenta a Dio: «Non posso io da solo portare il peso di tutto questo popolo; è troppo pesante per me». Spesso i discepoli del Signore sentono la fatica del cammino, la richiesta di una sicurezza e di una vita piena. Dio non si scandalizza, ascolta tutto e non allontana nessuna nostra richiesta.
Nell’incredulità il popolo di Dio si lamenta
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