Deuteronomio 34,1-12 | Dopo che Mosè ha parlato al popolo e ha lasciato il suo ruolo a chi sarebbe venuto dopo di lui, Dio gli mostra tutto il paese che lui aveva cercato e sognato. Non possedere, non toccare, non fare esperienza concreta di tutto, non significa non poter gioire e non trovare quello in cui si è creduto e per cui si è operato! Possedere non sempre significa capire e conservare! Quante delusioni nascono proprio dall’orgoglio che fa credere nostro quello di cui ci impadroniamo, che fa pensare inutile quello che non controlliamo. Mosè salì sul monte Nebo e da lì il Signore gli mostrò tutto il paese. Il Signore sembra volere rassicurare Mosè che la sua speranza e i frutti del suo cammino non sono persi perché non li possederà direttamente. Dio solo sa realizzare quello che l’uomo cerca: il futuro, la discendenza, ciò che andrà oltre il proprio personale limite. Non a caso il Deuteronomio racconta che nonostante gli anni, i suoi occhi non si erano spenti e il vigore non gli era venuto meno. L’autore sacro commenta che non è più sorto in Israele un profeta come Mosè, colui con il quale il Signore parlava faccia a faccia. Eppure, di lui non si conserva nemmeno la tomba. Proprio perché si è pensato umilmente, fino alla fine, solo servo di Dio e del suo popolo. Per questo i frutti rimangono. Lasciare agli altri, seguire quanto il Signore ci chiede, anche se ci sembra umanamente poco o addirittura deludente, è la vera risposta alla domanda di eternità e di pienezza che la nostra vita contiene in se stessa.
Morte di Mosè
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