Genesi 23,1-4.19; 24.1-8.62-67 | I racconti della Genesi si sviluppano come storie di famiglie che diventano popolo, unità intorno a una discendenza benedetta da Dio. Padri e madri sono le fila che si intrecciano all’interno di una parola che diventa vita. Abramo, Sara, Isacco e Rebecca. All’inizio Abramo ribadisce la sua condizione di “forestiero”, o per meglio dire “immigrato”. Ciò ricorda la condizione permanente delle origini di Israele, che viene ribadita in continuazione sia per i patriarchi che per Mosè: non avere stabile dimora, vivere da pellegrini, da stranieri in una terra che è dono di Dio quindi non possesso assoluto, quella terra che l’uomo deve «coltivare e custodire» e non tanto dominare. Ciò in un certo senso rende tutto provvisorio e indica quella libertà dal possesso così poco praticata. Per questo Abramo è costretto a comprare un piccolo pezzo di terra per poter seppellire Sara. È segno della sua precarietà e della sua condizione, ma anche di quella libertà di riconoscere che terra e discendenza sono dono del Signore, che non è lui l’autore e il padrone di quello che gli è stato donato. Le vicende dei patriarchi e poi quella di Israele saranno un continuo ritorno a questa memoria delle origini, come leggiamo nel libro del Deuteronomio: «Mio padre era un arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi di-ventò una nazione grande, forte e numerosa» (26,5). Questa memoria vale anche per noi cristiani e diventa il fondamento della nostra universalità inclusiva.
La sepoltura di Sara
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