Il popolo d’Israele è oppresso
Il popolo d’Israele è oppresso
M Mons. Vincenzo Paglia
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Esodo 1,8-14.22 | L’inizio del libro dell’Esodo interrompe la vicenda dei patriarchi e apre la storia del popolo di Israele. Non c’è più Giuseppe, il figlio di Giacobbe, a guidare l’Egitto. Ora c’è il faraone che ha paura della crescita anche nel numero dei figli di Israele. Per lui un gruppo etnico così numeroso e per nulla integrato è pericoloso per la coesistenza pacifica del suo regno. Decide quindi di soggiogarlo alla sua autorità. Le misure che il faraone decide sono pesanti. La prima è quella di asservire gli ebrei ai lavori forzati – una vera e propria schiavitù – per la costruzione di due nuove città, Pitom e Ramses. Ma, nonostante la durezza e la crudeltà del lavoro, il faraone non vede i frutti previsti. Il testo, con qualche ironia, nota: «Ma quanto più opprimevano il popolo, tanto più si moltiplicava e cresceva, ed essi furono presi da spavento di fronte agli Israeliti». Il faraone prese quindi una ulteriore misura ancora più drastica: «Gettate nel Nilo ogni figlio maschio che nascerà, ma lasciate vivere ogni femmina»: era evidente la decisione di eliminare il popolo di Israele. Sappiamo che due donne, con il «timore di Dio», come dice spesso la Scrittura (Pr 1,7), furono strumento per la salvezza del popolo di Israele. Era evidente che il Signore, e solo lui, stava guidando la storia del suo popolo. Quelle donne, per di più egiziane, salvarono Mosè, il liberatore, dalle acque del Nilo. Anche noi, deboli come quelle due donne, se ci lasciamo guidare dal timore del Signore possiamo es-sere principio di vita per gli altri. Dio benedice e rende feconda la vita di coloro che nel suo timore servono i poveri e i deboli.