Paolo davanti al sinedrio di Gerusalemme
Paolo davanti al sinedrio di Gerusalemme
M Mons. Vincenzo Paglia
00:00
00:00

Atti 22,30; 23,6-11 | Paolo, sciolto dalle catene, è condotto davanti al sinedrio perché venga chiarito il motivo della sua colpa. L’apostolo, «guarda fisso» tutti e, certo dell’aiuto del Signore, si rivolge ai sinedriti chiamandoli «fratelli». Paolo prova a riassumere quanto aveva già detto nella sua apologia (22,1-21) sottolineando che ha condotto la sua vita con piena «buona coscienza» dinanzi a Dio. Il sommo sacerdote avverte come sfacciata questa risposta e ordina di colpirlo sulla bocca, ripetendo così, quasi alla lettera, la scena del processo a Gesù. Paolo, che conosce dall’interno le differenze che esistono tra i sadducei e i farisei, con un’abile mossa dialettica, mette l’uno contro l’altro i farisei e i sadducei prospettando la sua fede nella risurrezione dai morti. Questo suo argomentare suscita un tumulto tra i vari gruppi sino a far dire da parte di qualcuno dei presenti in favore dell’apostolo quel che fu detto anche di Gesù: «Non troviamo nulla di male in quest’uomo». Di fronte all’acuirsi del tumulto, il tribuno crede opportuno di far riportare Paolo nella cella per timore che venga linciato. Nella notte Paolo sente venire il Signore presso di lui che gli annuncia la missione di predicare il Vangelo sino a Roma: «Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma». La «via» di Paolo è ormai segnata con chiarezza: «devi» – gli dice Gesù – predicare il Vangelo a Roma. È una indicazione preziosa per chi corre il pericolo di fermarsi alle dispute interne e perde di vista l’obbedienza alla parola sempre nuova del Signore.