Pietro guarisce un paralitico e risuscita una donna
Pietro guarisce un paralitico e risuscita una donna
M Mons. Vincenzo Paglia
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Atti 9,31-42 | L’autore degli Atti, dopo aver parlato a lungo di Paolo e aver notato che la comunità cristiana cresceva in un clima di pace, fa tornare in scena Pietro che continua fedelmente, alla lettera potremmo dire, l’opera di Gesù. Si tratta di storie che mostrano come cresceva la comunità cristiana. Tali storie sono però emblematiche di quella conversione missionaria che oggi papa Francesco chiede con insistenza a tutte le comunità cristiane. Luca nota che Pietro sta in viaggio: «Mentre andava a far visita a tutti, si recò anche dai fedeli che abitavano a Lidda». Insomma, Pietro è in uscita, è sulla strada. Se non ci si pone sulla strada, se non si esce dai propri recinti abituali, se non c’è missione, non solo non potremo gustare la gioia di quella crescita anche numerica di cui Luca parla nei primi versetti che abbiamo letto, ma rischiamo di isterilirci e morire. È una riflessione che le comunità cristiane debbono fare con urgenza, in questo passaggio della storia. La prima vicenda che Luca narra riguarda la guarigione di un paralitico, di nome Enea, che si trova a Lidda. La seconda, invece, accade in un’altra città, a Giaffa, dove Pietro va a trovare una donna, Tabità, che era appena morta. In ambedue le situazioni, Pietro riprende gli stessi gesti di Gesù: esorta Enea ad alzarsi dal giaciglio, quindi prende per mano Tabità, dopo essersi inginocchiato a pregare, e la restituisce viva agli amici e alle amiche. Ad ambedue, a Enea e a Tabità, Pietro dice: «Alzati!». Nel testo si usa lo stesso verbo greco impiegato per descrivere la risurrezione di Gesù. Pietro non compie gesti prodigiosi o spettacolari. Sta con pazienza accanto a chi è debole e gli ridona la dignità di essere amato e considerato. Sono i segni, le primizie della risurrezione.