La vita nuova del discepolo
La vita nuova del discepolo
M Mons. Vincenzo Paglia
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Colossesi 3,1-11 | Il discepolo, divenuto un «uomo nuovo», vive già nel mondo inaugurato dal Risorto. Ma guai a illudersi di essere al sicuro dalle insidie del peccato che, come nota la Genesi, è “accovacciato” davanti all’uscio della porta del cuore. Essere una nuova creatura richiede al discepolo di mettere in atto comportamenti conseguenti. Per questo Paolo ricorda ai Colossesi l’esigenza di fare morire «le cose della terra», ossia gli istinti che spingono a vivere per soddisfare solo se stessi. Paolo ne elenca alcuni, a partire dai disordini sessuali sino all’avidità, quali-ficata come idolatria. La sete insaziabile di possedere per sé, infatti, assorbe a tal punto le energie dell’uomo sino a portarlo alla sottomissione del cuore. La discepolanza richiede la lotta contro il peccato e l’impegno per la padronanza sui propri istinti. È un vero e proprio combattimento teso alla diminuzione del proprio orgoglio perché cresca la carità. È la via per realizzare tra i membri della comunità una vera comunione di amore. Per questo l’apostolo richiama alla memoria dei Colossesi la loro passata condotta pagana perché comprendano la grazia che hanno ricevuto entrando a far parte della comunità dei discepoli. Nell’uomo nuovo non c’è più divisione di cultura, di etnia, di condizione sociale, come scrive ai galati: «Quanti siete stati battezzati in Cristo vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e femmina, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,27s.). L’unione con Cristo relativizza le diversità perché ciò che unisce è molto più forte di ciò che divide.