Presunzione e avidità di denaro degli eretici
Presunzione e avidità di denaro degli eretici
M Mons. Vincenzo Paglia
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1Timoteo 6,2c-12 | Per la terza volta l’apostolo mette in guardia Timoteo da coloro che travisano l’insegnamento del Vangelo. Costoro si separano di fatto dalla comunità perché non seguono le “sane parole” del Signore, le uniche a essere fonte di salvezza appunto perché liberano dal peccato e dalla morte. Chi lascia prevalere il proprio orgoglio legge anche le parole del Vangelo solo a partire dal proprio interesse. È il senso dell’accecamento di cui parla l’apostolo e che porta a «non comprendere nulla» e a essere «maniaco di questioni oziose e discussioni inutili». Questo comportamento arrogante e vanaglorioso non è innocuo; diviene dannoso per sé e per la comunità. L’orgoglio distrugge l’amore fraterno, che deve essere invece la qualifica più alta della comunità. I frutti amari dell’orgoglio sono «le invidie, i litigi, le maldicenze, i sospetti cattivi, i conflitti». Con particolare forza l’apostolo avverte che gli eretici abusano della pietà per ricavarne vantaggi personali. Per il discepolo è vero il contrario: «La vera fede è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita presente e di quella futura». La vita guidata dalla “pietà” evangelica è un ricco guadagno per il tempo presente e per l’eternità. Ma deve essere sempre unita alla mitezza e alla moderazione, per mantenersi liberi da ogni bramosia di denaro, accontentandosi di ciò che Dio ha dato. Paolo, per sottolineare il corretto possesso dei beni terreni, richiama un pensiero già con-tenuto nelle Scritture: non abbiamo portato nulla nel mondo e nulla dal mondo possiamo portare via. Paolo non teme di dire che «l’avidità del denaro, infatti, è la radice di tutti i mali». Gesù stesso è stato particolarmente chiaro e duro: «Non potete servire Dio e la ricchezza» (Mt 6,24). La cupidigia è inconciliabile con la pietà cristiana.