Giosuè 24,14-29 | Siamo di fronte a una scelta del popolo di Israele al termine di un’altra tappa della sua vicenda, quando finalmente si trova in possesso di quella terra che il Signore aveva promesso ai padri. Si tratta di scegliere se «servire» il Signore o gli altri dèi. La terra in cui è entrato è popolata di altri dèi. La Palestina, come tutto il Vicino Oriente Antico, dalla Mesopotamia all’Egitto, era popolato da genti diverse e ognuna possedeva le sue divinità. «Servire» significa sottomettersi, ascoltare, dipendere da qualcuno. È una parola chiave nella scelta che Israele deve compiere. Non si può rimanere indifferenti o incerti davanti alla Parola di Dio. È necessario scegliere in un mondo in cui spesso si viene scelti dalle opinioni comuni o in cui ognuno preferisce sempre rimandare. Giosuè mette Israele davanti alla storia di liberazione voluta da Dio per lui, che Israele stesso riconosce nella sua risposta, premessa indispensabile di questa scelta: «Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso». La memoria dell’amore di Dio per noi rimane la premessa per rinnovare la nostra fede e dare la nostra adesione al Signore, per «servirlo» e per abbandonare quegli idoli che ancora intralciano la crescita della nostra umanità e della nostra fede.
L’assemblea di Sichem
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