Ambizioni personali e idolatria affievoliscono il rapporto con Dio
Ambizioni personali e idolatria affievoliscono il rapporto con Dio
M Mons. Vincenzo Paglia
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Giudici 9,6-15 | Questo periodo della storia di Israele è molto confuso. Le ambizioni personali e l’idolatria si erano impadronite del popolo e ne avevano indebolito la forza. Abimèlech, figlio di Ierub-Baal, che si era proclamato re senza essere stato chiamato da Dio, mostrava la perversione a cui si era giunti. Abimèlech uccise i suoi stessi fratelli, non perché avevano tradito Dio, bensì per affermare il suo potere. Iotam, il più piccolo dei figli di Gedeone, che si era salvato dalla strage, si mise a gridare contro Abimèlech. Le sue parole rappresentano la voce profetica che condanna Abimèlech ma anche coloro che lo avevano eletto e annuncia che la punizione sarebbe presto arrivata. L’apologo di Iotam riportato nel testo parla di tre alberi: l’ulivo, il fico e la vite, le tre piante più comuni della regione. La morale dell’apologo è che sarebbe un danno se queste tre piante dai frutti buoni e preziosi diventassero re. Sarebbero del tutto fuori luogo. Si agiterebbero, mostrando velleità e insipienza. E quando infine un pruno, che non ha nessuna intelligenza, invece accetta la carica di re, allora diventa chiaro quanto può essere pericoloso. E comunque non servirebbe a nulla; il suo ordine di andare a ripararsi alla sua ombra è un’amara ironia. Al contrario, il fuoco che si appicca facilmente al pruno secco e divampa rapidamente potrebbe significare un pericolo anche per l’albero più maestoso di tutto l’Oriente: il cedro del Libano. La violenza produce sempre violenza. E chi ne fa uso ne diventa vittima.