Paolo e il re Agrippa
Paolo e il re Agrippa
M Mons. Vincenzo Paglia
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Atti 25,13-21 | Luca pone qui, quasi come intermezzo, l’incontro di Paolo con il re Agrippa II e sua sorella Berenice venuti a Cesarea per salutare Festo, procuratore di Roma. Festo riassume il processo ad Agrippa. Con acutezza il procuratore va subito al nocciolo del problema: Paolo, l’accusato, afferma che un certo Gesù che gli ebrei credono morto sia invece vivo. C’è da dire che era proprio questo il centro della predicazione dell’apostolo, come peraltro emerge dal complesso delle sue lettere: la morte e la risurrezione di Gesù sono le colonne portanti del Van-gelo di Paolo. Credere che Gesù è risuscitato da morte significa che egli ha vinto il male e il suo primo frutto che è, appunto, la morte. Per questo viene chiamato «Cristo», l’inviato di Dio, e «Signore». E ogni volta che noi diciamo «nostro Signore Gesù Cristo» intendiamo dire, appunto, che Gesù di Nazareth, inviato da Dio su questa terra, è stato reso Signore, ossia dominatore del male e della morte. Questo annuncio era totalmente nuovo: con la risurrezione di Gesù la vita degli uomini non era più chiusa nell’orizzonte terreno. È il più grande dono che Dio ha potuto fare all’umanità. Paolo, per comunicare questa speranza, cuore del Vangelo di Gesù Cristo, ha affrontato difficoltà e pericoli di ogni genere e ora anche un lungo processo. Egli è nella schiera dei primi discepoli che hanno dato la loro vita per testimoniare la risurrezione del Signore. Molti altri, nel corso dei secoli, hanno seguito questa stessa strada.

E anche in tempi a noi contemporanei ci sono fratelli e sorelle che ci sono davanti a indicarci la preziosità e la forza dell’amore di Cristo che spinge fino a dare la propria vita per il Signore.