Il vanto della debolezza
Il vanto della debolezza
M Mons. Vincenzo Paglia
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2 Corinzi 11,18.21b-30 | Il vanto di Paolo fa emergere da una parte la sua debolezza e dall’altra la forza del Signore. L’apostolo non è inferiore a quei “super-apostoli”: anche lui è di origine ebraica, appartiene a Israele e figlio anche di Abramo ed erede della promessa messianica. È fiero di esserlo. E si vanta di essere cresciuto nella scuola di uno dei più grandi rabbini dell’epoca, Gamaliele. E se questo è il vanto delle origini, ben più alto è quello dell’appartenenza a Cristo. L’apostolo scrive alla comunità che lui è ministro di Cristo in maniera molto più alta dei suoi oppositori. Aveva già scritto loro, a proposito degli altri apostoli, sostenendo: «Ho faticato più di tutti loro» (1Cor 15,10). Ora può asserirlo con forza ancora maggiore rispetto a quei falsi profeti. E ai corinzi dice: «In realtà sopportate chi vi rende schiavi, chi vi divora, chi vi deruba, chi è arrogante, chi vi colpisce in faccia». E l’apostolo con straordinaria passione enumera quel che ha patito pur di annunciare il Vangelo che gli era stato rivelato. Ma in tutta questa lunga lista di dolori e di difficoltà, l’apostolo ricorda a se stesso, ai corinzi e anche a noi, che è stato il Signore a sostenerlo e ad aiutarlo. Ed è per questo che può dire: «Se è necessario vantarsi, mi vanterò della mia debolezza» (v. 30). È da questa coscienza che si riconosce il vero apostolo e servitore di Cristo. Il vanto dell’apostolo, il vanto di ciascuno di noi, è nella nostra debolezza, perché in essa si manifesta la grazia e la forza del Signore.