L’arresto di Stefano
L’arresto di Stefano
M Mons. Vincenzo Paglia
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Atti 6,8-15 | Stefano era il primo dei sette diaconi scelti tra gli ebrei ellenisti. Subito si fece notare per la sua forte testimonianza: «Faceva grandi prodigi e segni tra il popolo», scrivono gli Atti. E nei dibattiti nessuno poteva «resistere alla sapienza e allo Spirito con cui egli parlava». Ben due capitoli degli Atti narrano la sua vicenda. Era, evidentemente, una figura esemplare nella prima comunità. Ed è bene sottolineare che il «servizio alla mensa» a cui erano destinati i sette diaconi non si limitava solo a questo. Ogni credente, infatti, deve servire le due mense, quella dei poveri e quella della Parola. Non ci sono specializzazioni esclusive, ad alcuni la predicazione e ad altri la carità. Ogni cristiano deve fare ambedue. Ed è importante notare che l’azione di Stefano si svolgeva «in mezzo al popolo»; non era un servizio burocratico, bensì un coinvolgimento nella vita quotidiana della comunità cristiana. Anche i membri del sinedrio restavano stupiti dall’azione missionaria di Stefano: «Tutti quelli che sedevano nel sinedrio… videro il suo volto come quello di un angelo». Potremmo dire che in quell’assise così importante Stefano richiamava Mosè, il cui ministero fu circondato da tale splendore che i figli di Israele non potevano fissare il suo volto per la luce che emanava (Es 34,29ss.). Stefano, come Mosè, era davvero un testimone dell’amore di Dio, appunto un angelo inviato dal Signore. Così dovrebbe essere ogni discepolo. A imitazione del Maestro, anche Stefano subisce prima l’arresto e poi il giudizio davanti al sinedrio. E nel processo viene condannato con false accuse. La vicenda dei discepoli ripercorre sempre quella del Maestro. E Stefano, in questo difficile momento della sua vita, è sostenuto dalla forza e dallo Spirito del Signore che non abbandona nessuno, soprattutto nel momento della prova.