04|25 Il mandato missionario e l’ascensione di Gesù
04|25 Il mandato missionario e l’ascensione di Gesù
M Mons. Vincenzo Paglia
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Vangelo (Mc 16,15-20) - In quel tempo, [Gesù apparve agli Undici] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.

Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Vincenzo Paglia

Marco, cugino di Barnaba, fin da giovane frequentava la comunità dei discepoli di Gesù che si radunava nella casa della madre, come ricordano gli Atti (12,12). La tradizione lo vede nel ragazzo che durante la passione sfuggì alla cattura delle guardie lasciando nelle loro mani solo il lenzuolo con cui si copriva, come a ricordarci che per seguire Gesù bisogna spogliarsi di tutto. Cresciuto, Marco accompagnò Paolo e Barnaba nel loro primo viaggio missionario. Successivamente andò con Pietro fino a Roma. E qui, acconsentendo alle numerose richieste della comunità cristiana che gustava la profondità e la bellezza della predicazione dell’apostolo, scrisse il Vangelo che porta il suo nome. È il primo Vangelo che è stato scritto e raccoglie appunto la testimonianza della predica-zione di Pietro nella capitale dell’Impero. Nella conclusione della prima Lettera di Pietro, Marco è accomunato all’apostolo in Babilonia, nome con cui veniva indicata Roma, alludendo alla situazione difficile dei cristiani di allora, simile a quella che viveva Israele nell’esilio babilonese (587-538 a.C.). L’ultimo capitolo della prima Lettera di Pietro è pieno di preoccupazione e di affetto per Marco che chiama «figlio mio». Con lui rivolge ai cristiani anche queste ultime parole sull’umiltà dei credenti che sono chiamati ad aiutare gli anziani nel servizio alla comunità. Esorta tutti ad essere sottomessi, anzitutto a Dio e quindi gli uni agli altri. L’umiltà rende i cristiani simili a Gesù che si pone al servizio di tutti. Ed è bella l’immagine evocata dall’apostolo: cingersi dell’umiltà come di una veste per il vicendevole servizio. Forse all’apostolo torna in mente la scena della lavanda dei piedi nell’ultima cena. E certo ricorda, dopo le sue rumorose rimostranze, l’ammonimento del maestro: «Se non ti laverò, non avrai parte con me» (Gv 13,8). L’umiltà è l’atteggiamento che qualifica il discepolo e che lo salva dall’orgoglio che sta alla radice di tutti i vizi. L’avversario (il diavolo), già presente nel giardino terrestre, attraverso l’orgoglio continua a circuire ogni uomo e a tentarlo perché ne diventi schiavo. L’apostolo esorta a resistergli perché la sua azione è diretta a distruggerci, anzi a divorarci nelle sue spire voraci e insaziabili. E aggiunge che nella fede possiamo sconfiggerlo an-che se appare forte. L’apostolo Pietro, chiudendo la sua Lettera, apre al futuro che sarà concesso ai discepoli: «Dopo che avrete un poco sofferto, vi ristabilirà, vi confermerà, vi rafforzerà, vi darà solide fondamenta». Sì, “saldi” sulla roccia che è Cristo, i discepoli già da ora possono vivere il futuro “stato dei risorti”. Marco, “interprete di Pietro”, con il suo Vangelo, ci aiuta a immergerci nella fede dell’apostolo che il Signore ha posto a capo della sua Chiesa.