11|17 Il discorso escatologico: il ritorno del figlio di Dio
11|17 Il discorso escatologico: il ritorno del figlio di Dio
M Mons. Vincenzo Paglia
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Vangelo (Mc 13,24-32) - In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo. »Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».

Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Vincenzo Paglia

Il Vangelo ricorda che il «Figlio dell’uomo» non viene nella stanchezza delle nostre abitudini e neppure si inserisce nel naturale sviluppo delle cose. Quando egli verrà, porterà un cambiamento radicale sia nella vita degli uomini che nella stessa creazione. Per esprimere questa trasformazione profonda Gesù riprende il linguaggio tipico della tradizione apocalittica, allora molto diffusa, e parla di eventi cosmici che sconvolgono l’ordine della natura. Gesù parla di «ultimi giorni», ma dice anche che tali rivolgimenti avverranno in «questa generazione». Il «giorno del Signore», prefigurato da Daniele e dagli altri profeti, irrompe in ogni generazione, anzi in ogni giorno della storia. Gesù dice: «Sappiate che ciò è alle porte». Questa espressione è usata altre volte dalle Scritture per esortare i credenti a essere pronti per accogliere il Signore che passa. «Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20). Alle porte di ogni giornata della nostra vita c’è il Signore che bussa, e oggi, nella domenica in cui la Chiesa fa memoria dei poveri, ricordiamo che alla nostra porta c’è sempre Gesù che è nella carne dell’affamato, dello straniero, del malato, del carcerato. È quel Lazzaro coperto di piaghe che oggi aspetta di essere accolto, e da questa accoglienza dipende il giudizio di Dio che intende trasformare il tempo che già ora viviamo.
Papa Francesco ha voluto che la domenica prima della festa di Cristo Re fosse dedicata alla festa dei poveri. Tutte le chiese sono invitate ad aprire le porte ai poveri. Lui stesso lo fa a San Pietro. E, al termine della liturgia, offrirà loro un pranzo. Con questa festa dei poveri si comprende meglio quel che nel Vangelo più volte viene detto sul regno dove Cristo è re. Basta leggere la prima delle beatitudini: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli». E ancora: il regno dei cieli è simile a un banchetto preparato dal Signore al quale sono invitati i poveri. Questo è il regno dove Gesù comanda o, meglio, serve. Mi torna in mente il pranzo di Natale che si realizza ogni anno nella basilica di Santa Maria in Trastevere e in tanti altri luoghi nel mondo. È un evento che non si dimentica. Che non si deve dimenticare. E l’insegnamento è chiaro: il legame tra l’altare dell’Eucaristia e la mensa dei poveri. Due altari inseparabili, due culti inscindibili. E si assiste al miracolo di una amicizia straordinaria tra i discepoli di Gesù e i poveri. È l’immagine di quella fraternità universale che non conosce né barriere né confini, che il Vangelo è venuto a realizzare.