09|01 La questione della purezza rituale
09|01 La questione della purezza rituale
M Mons. Vincenzo Paglia
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Vangelo (Mc 7,1-8.14-15.21-23) - In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?». Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini”. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini». Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».

Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Vincenzo Paglia

«Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo». Queste parole tratte dalla lettera dell’apostolo Giacomo ci vengono incontro proprio in questa domenica in cui ricordiamo anche la festa di sant’Egidio, un santo monaco che nell’VIII secolo ha vissuto nel sud della Francia e la cui devozione, durante il Medioevo, si diffuse in tutta Europa, a partire dal suo monastero e dai tanti luoghi di culto, tra cui la chiesa e il monastero a Roma da cui la Comunità ha preso il nome. Nella leggenda che parla della sua vita si mostrano le opere di questo uomo di Dio che ha voluto vivere una “religione pura” al servizio dei poveri e dei bisognosi, mettendo in pratica il Vangelo. Gesù condanna la lontananza del cuore degli uomini da Dio. Il Signore si è fatto vicino al suo popolo: «Quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?». Se Dio è così vicino, è davvero inammissibile che gli uomini si rivolgano a lui solo con gesti esteriori senza che il cuore abbia un minimo di vibrazione d’affetto. In questo caso a nulla valgono riti e parole. Gesù, collegandosi alla critica sulle mancate abluzioni, chiarisce cosa è davvero impuro, ossia non adatto a Dio. Nulla delle cose create è inadatto a Dio; nulla è impuro. L’impurità, infatti, non è nelle cose ma nel cuore dell’uomo: «Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adulteri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza». Gesù vuol dire che il male non nasce per caso, frutto di un cieco destino. Il male ha il suo terreno: il cuore; e ha anche i suoi agricoltori: gli uomini. Ognuno è coltivatore solerte nel proprio cuore di piccole o grandi quantità di erbe amare che avvelenano la nostra e la vita degli altri. Noi siamo responsabili dell’amarezza di questo mondo, chi più chi meno; nessuno può tirarsene fuori. È perciò dal nostro cuore che bisogna partire per estirpare il male in questo mondo. E ovviamente è sempre nel cuore che vanno piantate le erbe buone della solidarietà, dell’amicizia, della pazienza, dell’umiltà, della pietà, della misericordia, del perdono. E la via per questa piantagione è segnata dal Vangelo: ricordiamo la nota parabola del seminatore che, di buon mattino, uscì per seminare. Ancora nei nostri giorni, fedelmente e generosamente, quel seminatore esce e getta con abbondanza il suo seme. L’apostolo Giacomo, quasi a commento, aggiunge: «Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi».