06|02 L'ultima cena
06|02 L'ultima cena
M Mons. Vincenzo Paglia
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Vangelo (Mc 14,12-16.22-26) - Il primo giorno degli Àzzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. Mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.

Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Vincenzo Paglia

Celebriamo oggi la festa del Corpus Domini. Fu istituita in un momento del cristianesimo europeo in cui molti mettevano in dubbio la presenza di Cristo nell’Eucaristia, svuotando così della sua forza la santa liturgia, cuore della vita cristiana. Con questa festa la Chiesa voleva sollecitare i suoi figli a scoprire il senso forte della presenza reale di Gesù tra i suoi anche nel pane e nel vino consacrati. La ripropone ogni anno perché tutti possiamo riscoprire il senso concreto dell’amore di Gesù. La lettura del Vangelo di Marco lega questa festa alla sua vera origine, a quell’ultima cena che Gesù volle celebrare con i suoi discepoli prima della sua passione. E la prima comunità cristiana comprese la centralità per la sua stessa vita delle parole che Gesù pronunciò in quella cena quando prese il pane e, distribuendolo a quei discepoli, disse loro: «Questo è il mio corpo» e porgendo a tutti il calice con il vino perché ne bevessero, disse: «Questo è il mio sangue». Le parole pronunciate da Gesù in quella cena – e che il sacerdote ripete sull’altare alla lettera – suggeriscono che Gesù non è presente in qualsiasi modo nel pane e nel vino consacrati. Egli è presente come un corpo “spezzato”, come un sangue “versato” per tutti; un corpo che non trattiene nulla per sé, un corpo che si fa pane e bevanda per nutrirci e dissetarci lungo tutta la nostra vita; un corpo che viene distribuito generosamente e gratuitamente: quel pane e quel vino non si comprano, non hanno prezzo. È un Corpo che ama e che dona la vita per gli altri. È il corpo dell’amore di Dio, il Corpo di Gesù che si dona totalmente, che non conosce avarizia, calcolo, risparmio. E insegna ai discepoli a volere bene sempre, a donare la loro vita per gli altri, come lui ha fatto e continua a fare. Quell’ostia consacrata è uno scandalo per noi che cerchiamo sempre di risparmiarci, per un mondo abituato a fare di tutto un mercato, per una società che non fa nulla gratuitamente. Quell’ostia è un insegnamento anche per la Chiesa perché sia una comunità che vive per la salvezza degli altri e non per conservare sé stessa.