Vangelo (Gv 3,16-21) - In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Vincenzo Paglia
“Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna”. In questa frase di Gesù a Nicodemo c’è come la sintesi del Vangelo di Giovanni. Gesù è il dono del Padre all’umanità, un dono che sgorga da un amore senza limiti. Tanto è grande il desiderio di Dio perché gli uomini non si perdano nelle spire del male che manda il suo stesso figlio perché siano liberati e salvati. Possiamo perciò dire che quando “il Verbo si è fatto carne”, mai Dio è stato così vicino agli uomini. Quale prova di amore più grande di questa avrebbe potuto dare? Egli ha considerato la sua amicizia per noi più grande – se così si può dire – del legame con il suo stesso figlio. In verità, l’invio del Figlio sulla terra da parte del Padre e l’amore del Figlio per noi che giunge sino alla morte in croce, mostrano che l’amore è dono, è servizio, è disponibilità a dare tutto se stessi per gli altri. È un falso amore quello che porta a pensare solo a se stessi. L’amore è quello di Gesù che ha speso l’intera sua vita per salvare gli altri dalla schiavitù del male e della morte. In questo senso Gesù spiega a Nicodemo il perché della sua incarnazione: “Dio ha mandato il Figlio nel mondo, non per condannare il mondo, ma perché si salvi per mezzo di lui”. Gesù non vuole la condanna del mondo. È venuto esattamente per l’opposto, ossia per salvare gli uomini dal male e da ogni schiavitù. E la via che viene messa in atto perché questo avvenga è quella dell’amore: l’amore di Dio per noi e, conseguentemente, la risposta dell’uomo ad accogliere tale amore. È questa la fede. Per questo Gesù dice: “Chi crede in lui (nel Figlio) non è condannato”. Chi accoglie Gesù come l’inviato del Padre per salvarci dal male, costui è credente. Ed è quindi già salvato. La fede – e quindi la salvezza – consiste nell’accogliere l’amore, smisurato e gratuito, di Gesù. Chi rifiuta tale amore è giudicato, non da Gesù ma dal suo stesso rifiuto perché si sottrae alla forza dell’amore che libera dalle spire del male, rifiuta la luce dell’amore di Dio per restare nel buio dell’amore per se stesso. E purtroppo spesso, troppo spesso, gli uomini – e talora gli stessi discepoli – preferiscono il buio della vita violenta e crudele a quella dell’amore, della giustizia, della fraternità. Le opere dell’egocentrismo, le opere della violenza, ispessiscono il buio, dentro i cuori degli uomini e nella vita tra la gente. E c’è come una spirale diabolica della quale si resta prigionieri. Chi accoglie la luce vera, che è Gesù e il suo Vangelo, viene come illuminato o meglio avvolto nella luce del Vangelo. E compiere le opere in Dio, significa vivere con l’amore senza confini di Dio. È l’amore di cui abbiamo bisogno noi e il mondo anche all’inizio di questo nuovo millennio. Papa Francesco, visitando lo scorso anno l’isola di Lampedusa, tristemente nota per l’inaccoglienza riservata agli immigrati, ha stigmatizzato quella globalizzazione dell’indifferenza che sta alla radice delle migliaia di morti, non solo di Lampedusa, ma del mondo intero. Ai cristiani spetta l’affascinante e arduo compito di globalizzare l’amore ricevuto dal Signore. Egli ci accoglie nel suo stesso dinamismo facendoci sin da ora “figli della resurrezione” e testimoni della efficacia liberatrice di questo amore.