03|12 L’infermo della piscina di Bethesda
03|12 L’infermo della piscina di Bethesda
M Mons. Vincenzo Paglia
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Vangelo (Gv 5,1-3.5-16) - Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare. Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo. Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato.

Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Vincenzo Paglia

L’evangelista Giovanni ci conduce a Gerusalemme accanto a una piscina, chiamata Betesda (“Casa della misericordia”). Era un luogo ritenuto sacro e miracoloso. Per questo ai suoi bordi si radunavano «un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici», nota l’evangelista. Costoro si radunavano nei pressi della piscina seguendo una tradizione popolare, probabilmente legata al culto di una divinità pagana guaritrice, in attesa che un angelo ne agitasse l’acqua, certi che il primo entrato sarebbe stato guarito. Quella piscina possiamo paragonarla alla Chiesa, vera “casa della misericordia”. La tradizione cristiana ha immaginato la Chiesa come una fontana di acqua zampillante, sempre viva. Sono belle quelle icone orientali che mostrano Maria al centro di una fontana che disseta poveri, malati, ciechi, zoppi e deboli. E Giovanni XXIII amava paragonare la Chiesa alla fontana del villaggio a cui tutti si recava per dissetarsi. Questa piscina con cinque portici è un esempio a cui le comunità cristiane debbono ispirarsi. Non è un luogo di magie o esoterismi strani. Certo, potremmo dire che c’è sempre bisogno di un angelo che intervenga. Ma l’angelo è Gesù stesso come lo fu per quel malato che stava da tanti anni ai bordi di quella piscina, senza che nessuno lo aiutasse. Gesù, passandogli accanto, si ferma e si informa della sua condizione. È malato da 38 anni. Oggi diremmo che è un malato “cronico”, ossia che deve rassegnarsi a restare malato, senza la possibilità di guarigione e tanto spesso neppure di cura. Quando quel paralitico vede Gesù che si ferma e gli chiede: «Vuoi guarire?», gli si accende il cuore. Da quell’incontro, come da ogni incontro vero e gratuito, rinasce in quel paralitico la speranza. L’amore apre sempre il cuore anche di chi lo riceve. Quando si è soli è difficile, se non impossibile, guarire. E quanti sono ancora oggi lasciati soli proprio nel momento in cui maggiore è la loro debolezza! Con Gesù è arrivato il vero angelo che sana dalla malattia quell’uomo. E, rivolto al paralitico, gli dice: «Alzati, prendi la tua barella e cammina». E così accade. C’è poi un secondo incontro. Quell’uomo aveva bisogno di essere guarito anche nel cuore. Gesù nell’incontrarlo la seconda volta gli dice: «Ecco, sei guarito! Non peccare più». C’è bisogno di continuare a incontrare Gesù per poter essere guariti fin nel profondo del proprio cuore. Ciascuno di noi dovrebbe pensarsi ai bordi di quella piscina e sentirsi dire da Gesù quelle stesse parole per alzarsi dalla paralisi dell’egocentrismo e divenire a sua volta “angelo” per coloro che hanno bisogno di aiuto e di conforto. Ricordando anche che Gesù va nuovamente incontrato e la sua parola riascoltata per poter ricevere quella misericordia che ci tiene in vita e ci libera dai peccati.