03|10 Gesù e Nicodemo, il Vangelo della Luce e delle Tenebre
03|10 Gesù e Nicodemo, il Vangelo della Luce e delle Tenebre
M Mons. Vincenzo Paglia
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Vangelo (Gv 3,14-21) - In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio. »E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Vincenzo Paglia

Siamo oltre la metà del pellegrinaggio quaresimale e la liturgia della Chiesa, interrompendo per un momento l’austerità di questo tempo, ci invita a “rallegrarci”. Anche il colore dei paramenti liturgici si attenua, dal viola, il colore della penitenza e del lutto, passa al “rosaceo”, per sottolineare questo momento di letizia. Potrebbe apparire quasi fuori luogo, anzi stridente, spingerci a rallegrarci proprio mentre la violenza continua a mietere vittime. Eppure, la Chiesa vuole che in questa domenica dobbiamo fare una memoria ancor più opportuno, quella della Pasqua, della vittoria di Gesù sulla morte, su ogni morte con la sua risurrezione di una vita nuova e salvata dal male. Potremmo dire che proprio mentre cresce la potenza distruttrice del male, la liturgia vuole come anticipare la Pasqua, quasi affrettarla. La Chiesa ci invita a rafforzare la speranza là dove prevale un clima di malattia, di dolore e di morte. E ci aiuta a comprendere le ragioni della nostra speranza, aprendoci anche gli occhi su quanto sta accadendo e perché.
Nel secondo libro delle Cronache l’autore lega la caduta di Gerusalemme e il susseguente esilio in Babilonia all’infedeltà del popolo ai comandi del Signore: “In quei giorni tutti i capi di Giuda, i sacerdoti e il popolo moltiplicarono le loro infedeltà...si beffarono dei messaggeri di Dio, disprezzarono le sue parole e schernirono i suoi profeti al punto che l’ira del Signore contro il suo popolo raggiunse il suo culmine, senza più rimedio”. Il male – si potrebbe dire – accresce la sua cattiveria se viene lasciato libero per l’indifferenza degli uomini concentrati solo in se stessi e dimentichi dell’amore soprattutto per i più deboli. Il cammino quaresimale diviene un tempo opportuno per liberarsi dalla propria autoreferenzialità e alzare lo sguardo verso il Signore crocifisso e risorto. E’ lui che ci salva dal male, anche dalla pandemia. E’ verso il Signore che dobbiamo rivolgere i nostri occhi, la nostra preghiera e la nostra speranza.
L’anziano Nicodemo si sentì rispondere più o meno in questo modo da Gesù. E rinascere per lui significava guardare nuovamente in alto. Gesù gli richiamò l’episodio del serpente innalzato da Mosé nel deserto che salvò la vita degli israeliti morsi dai serpenti velenosi. Avvenne in quei giorni una vera e propria strage. Potremmo paragonare anche a quella tragica scena i colpiti dai morsi del Covid come anche dai tanti altri virus mortali come la guerra e la solitudine. Disse Gesù a Nicodemo: “Come Mosé innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna”. Per l’evangelista, Gesù “innalzato” non è una immagine che deve suscitare una inutile commiserazione o ingenua compassione; quella croce è la fonte della vita; una fonte generosa e senza limiti, gratuita e abbondante: “Dio ha tanto amato il mondo - continua l’evangelista -  da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna”.
Chiunque è colpito dai morsi velenosi dei serpenti di oggi, è sufficiente che rivolga gli occhi verso quell’uomo “innalzato” e trova guarigione. Gesù stesso dirà più avanti: “Quando sarò elevato da terra, attrarrò tutti a me” (12,32). La salvezza, come anche il senso della vita, non viene da noi o dalle nostre tradizioni umane. La salvezza ci è donata. Nella lettera agli Efesini Paolo scrive: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatti rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati” (2,4). Torna il motivo del “rallegrarsi” a cui la liturgia di questa domenica ci richiama; possiamo gioire come il figlio prodigo il quale, al ritorno a casa, scopre quanto l’amore del Padre sia enormemente più grande del suo peccato e della sua cattiveria.