09|16 Comanda con una parola e il mio servo sarà guarito
09|16 Comanda con una parola e il mio servo sarà guarito
M Mons. Vincenzo Paglia
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Vangelo (Lc 7,1-10) - In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede —dicevano—, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.

Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Vincenzo Paglia

Gesù entra a Cafarnao. Qui vi è un centurione romano, un pagano che, pur essendo il rappresentante dell’oppressore, mostra un’attenzione particolare verso gli ebrei, tanto che li ha aiutati anche a costruire la sinagoga della città. È comunque molto preoccupato per la grave malattia che ha colpito uno dei suoi servi. Sa bene che, come pagano, non può ardire di avvicinarsi a quel maestro. Tre atteggiamenti emergono in questo centurione romano: i primi due sono l’amore per il suo servo (lo tratta come un figlio) e la fiducia sconfinata nel giovane profeta di Nazaret; il terzo è l’indegnità che sente di fronte a quel giovane profeta, tanto da non ritenersi degno di andare da lui. Mentre Gesù si sta avvicinando alla sua casa, manda altri amici a dirgli di non scomodarsi oltre. La sua fede gli fa pronunciare quelle parole che tutti i cristiani ancora oggi ripetono durante la liturgia eucaristica: «Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto… ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito». Questo centurione, pagano, diviene immagine del vero credente, di colui, cioè, che riconosce la propria indegnità e crede alla forza della parola di Gesù: ne basta una sola per salvare ed essere salvati. Le parole che escono dalla bocca di Gesù hanno la forza di Dio e del suo amore. Gesù, al sentire le parole riportategli, ammirò quel centurione e, rivolgendosi alla folla che lo seguiva, disse di lui: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!».