09|17 Risurrezione di un giovane a Nain
09|17 Risurrezione di un giovane a Nain
M Mons. Vincenzo Paglia
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Vangelo (Lc 7,11-17) - In quel tempo, Gesù si recò in una città chiamata Nain e facevano la strada con lui i discepoli e grande folla. Quando fu vicino alla porta della città, ecco che veniva portato al sepolcro un morto, figlio unico di madre vedova; e molta gente della città era con lei. Vedendola, il Signore ne ebbe compassione e le disse: «Non piangere!». E accostatosi toccò la bara, mentre i portatori si fermarono. Poi disse: “Giovinetto, dico a te, alzati!”. Il morto si levò a sedere e incominciò a parlare. Ed egli lo diede alla madre. Tutti furono presi da timore e glorificavano Dio dicendo: «Un grande profeta è sorto tra noi e Dio ha visitato il suo popolo». La fama di questi fatti si diffuse in tutta la Giudea e per tutta la regione.

Il commento al Vangelo a cura di Monsignor Vincenzo Paglia

Un giovane, figlio unico di una madre vedova, muore. Per quella madre la vita viene spezzata. Ogni filo di speranza appare definitivamente reciso. Nulla è più possibile né per quel figlio né per quella madre, se non seppellire l’uno e accompagnare l’altra, consolandola per il suo dolore. Gesù, vedendo quel corteo funebre, si commuove per quella madre vedova che sente stroncata definitivamente la sua vita. L’evangelista nota che Gesù, appena vide la madre affranta, «fu preso da grande compassione». È una compassione grande, che lo porta a fare suo il dolore di quella madre. C’è una grandezza di questo sentimento di Gesù che viene oggi disconosciuto e disprezzato come un segno di debolezza. Ma davanti al male è l’unica risposta che può cambiare la vita. Gesù le dice subito di non piangere, poi si avvia verso la portantina e si rivolge al ragazzo: «Dico a te, alzati!». Gesù gli parla come se fosse vivo. Sono tanti i giovani che, oggi, vivono come morti, ossia senza speranza per il loro futuro. La speranza in un mondo migliore è stata loro rubata. Tanto spesso per loro la società è matrigna. Ed essi si ritrovano soli e spaesati in un mondo senza più futuro, nell’attesa di qualcuno che si fermi e si rivolga a loro con parole di vita.