XXIII del tempo ordinario
XXIII del tempo ordinario
M Mons. Vincenzo Paglia
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Prima Lettura Sap 9,13-18 | Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l'anima e la tenda d'argilla opprime una mente piena di preoccupazioni. A stento immaginiamo le cose della terra, scopriamo con fatica quelle a portata di mano; ma chi ha investigato le cose del cielo? Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza e dall'alto non gli avessi inviato il tuo santo spirito? Così vennero raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra; gli uomini furono istruiti in ciò che ti è gradito e furono salvati per mezzo della sapienza.


Salmo Responsoriale

Dal Sal 89(90)

R. Signore, sei stato per noi un rifugio di generazione in generazione.

Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo».
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte. R.
 
Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino,
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia,
alla sera è falciata e secca. R.
 
Insegnaci a contare i nostri giorni
e acquisteremo un cuore saggio.
Ritorna, Signore: fino a quando?
Abbi pietà dei tuoi servi! R.
 
Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio:
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani,
l’opera delle nostre mani rendi salda. R.


Seconda Lettura Fm 1,9b-10.12-17 | In nome della carità piuttosto ti esorto, io, Paolo, così come sono, vecchio, e ora anche prigioniero di Cristo Gesù. Ti prego per Onèsimo, figlio mio, che ho generato nelle catene, te lo rimando, lui che mi sta tanto a cuore. Avrei voluto tenerlo con me perché mi assistesse al posto tuo, ora che sono in catene per il Vangelo. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario. Per questo forse è stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo, in primo luogo per me, ma ancora più per te, sia come uomo sia come fratello nel Signore. Se dunque tu mi consideri amico, accoglilo come me stesso.


Vangelo Lc 14,25-33 | Una folla numerosa andava con lui. Egli si voltò e disse loro: "Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: "Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro". Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l'altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.


Il commento di Monsignor Vincenzo Paglia

Sap 9,13-18; Sal 90 (89); Fm 9b-10.12-17; Lc 14,25-33 | Il Vangelo ci presenta Gesù che riprende il suo cammino verso Gerusalemme. L’evangelista fa supporre che Gesù stia avanti a tutti, come a guidare il cammino: i suoi occhi sono rivolti verso la meta, Gerusalemme. Ma ecco che ad un certo momento Gesù “si voltò” verso la numerosa folla che lo seguiva. Non si volta per un senso di compiacimento, ma per quella compassione che Gesù ha avuto sin dall’inizio sulle folle, come scrive Matteo: “vedendo le folle ne sentì compassione”(9, 36). E non cessa di «voltarsi» verso di esse, ancora oggi. Ogni volta che il Vangelo viene annunciato, soprattutto nella santa Liturgia, è il Signore che si volta verso di noi per parlarci. Oggi, memoria liturgica di san Gregorio Magno, sentiamo ancor più viva la responsabilità di ascoltare la Parola di Dio. Questo grande vescovo che ha guidato la Chiesa di Roma in un tempo particolarmente difficile ha saputo vivere e spiegare la Bibbia come la “lettera di Dio agli uomini” di ogni tempo.

Nel brano ascoltato, Gesù – sapendo bene quel che lo aspettava a Gerusalemme – dice alle folle che lo seguono: «Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e persino la pro­pria vita, non può essere mio discepolo» (v. 26). Sono parole severe. In nessun altro punto del Vangelo si parla con tanta serietà della sequela. Luca, a differenza del brano parallelo di Matteo (10, 37), dettaglia i rapporti di parentela, come a non volerne escludere nessuno. E ognuno sotto­stà al severo verbo, «odiare». Per essere di­scepoli non basta seguire Gesù fisi­camente, bisogna tagliare tutti i legami, appunto, «odiare» padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle e persino se stessi. Certo, queste parole vanno col­locate nel contesto linguistico semitico, che essendo una lingua semplice, per dire «amare meno» si dice «odia­re». Ma non si può neutralizzare la radicalità della sequela di Gesù. Nessun’altra scelta può stare alla pari. Altre volte Gesù lo ha detto: “Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”(Mt 6,33). Non è questione di severità, è questione del primato dell’amore con cui Gesù ci ha salvato dal Maligno. E’ questo suo amore senza confini che salva dal Male. E si comprende allora quanto continua a dire: «Chi non por­ta la propria croce e non viene dietro di me, non può essere mio discepolo» (v. 27). La croce di cui Gesù parla - e che il discepolo deve prendere sulle sue spalle - non è quella dei propri guai, anche gravi e che fa dire “devi prenderti la croce che ti è capitata”. E’ una distorsione spirituale dell’Io, che ancora una volta vuole vincere. Gesù parla della croce che lo attende a Gerusalemme. “Prendere la propria croce” significa perciò accogliere nella propria vita quella “Croce” e portarla nella piccola misura che il Signore ci chiede. E si porta pagando di persona. Ed è ancor più forte portarla anche assieme, come comunione di fratelli e sorelle. E’ il senso della testimonianza martiriale che viene chiesta alla Chiesa nel comunicare il vangelo dell’amore. Non si può togliere dal Vangelo quella dimensione di eroismo, di martirio, propria di Gesù. E’ la bella testimonianza di tanto cristianesimo contemporaneo, con i nuovi martiri. Pensiamo all’arcivescovo Romero, uno dei primi tra loro, che amava sottolineare questa dimensione ancor prima del suo martirio di sangue. In una omelia per un prete ucciso dagli squadroni della morte, diceva che il Concilio chiede a tutti i cristiani di essere martiri, ossia di dare la propria vita per il Vangelo e per i poveri. Pochi mesi dopo toccò anche a lui la morte per martirio. In questa santa liturgia Gesù si è voltato ancora su di noi e continua a parlarci per fare di noi un popolo che, con lui, percorre le strade del mondo di questo tempo, vivendo la sua stessa compassione sulle folle – sempre più numerose – colpite dalla guerra, dalla povertà, dall’indifferenza. E noi – consapevoli delle nostre pochezze e dei nostri peccati – lo seguiamo sostenuti dal suo sguardo che ogni sera non cessa anche di accompagnarsi e sostenerci. Davvero possiamo ringraziare il Signore perché la sua Parola è lampada per i nostri passi.