Care sorelle e cari fratelli,
sono passati trenta giorni da quando Stanislaw Grygiel, nel passaggio della morte, ha incontrato il Signore – finalmente “faccia a faccia” – e si è lasciato abbracciare da quel Signore che ha sempre cercato e servito e che ora lo stringe con tenerezza tra le sue braccia. Dio sa dare ai suoi figli una ricompensa ben più grande di quanto possiamo immaginare. Per l’intera vita Stanislaw lo ha servito con fedeltà e con quella passione anche intellettuale che aveva appreso dal suo maestro e poi amico – anche durante il pontificato – san Giovanni Paolo II.
Noi ci ritroviamo assieme oggi, giorno della memoria liturgica di San Giuseppe, per fare memoria di lui e intercedere presso il Signore. La festa liturgica di san Giuseppe ci aiuta a ricordare Stanislaw Grygel. Potremmo dire che, come Giuseppe, anche lui è vissuto in un momento complesso della vita della Chiesa come quello del secondo Novecento. Il Vangelo di Matteo che abbiamo ascoltato parla di un momento difficile della vita di Giuseppe: il ripudio segreto di Maria incinta non per opera sua. Nei Vangeli dell’infanzia si narrano i gravissimi problemi del Bambino appena nato e nei primi anni di vita. Giuseppe ascolta l’angelo e si affida alla sua parola. La sua obbedienza alla Parola dell’angelo non ha solo salvato la vita del Bambino ma l’ha anche accompagnato nel corso degli anni dell’adolescenza, almeno. E’ vero peraltro che Giuseppe non sempre comprese quel Figlio, sebbene l’amore non fosse mai diminuito. Fu l’amore a far cercare il dodicenne Gesù fino al tempio. Ma accettarono anche il rimprovero perché non avevano compreso quale fosse la sua missione. Giuseppe divenne comunque un particolarissimo “discepolo” di Gesù: lo protesse e lo presentò al mondo, all’interno della famiglia di Nazareth. Ricevette dall’angelo la missione di dare il nome a quel Bambino: “Tu lo chiamerai Gesù”. E questo – dire al mondo il nome Gesù, ossia “Dio è salvezza” – fa di Giuseppe il primo tra tuti noi. Sì, care sorelle e cari fratelli, la responsabilità di ogni cristiano è dire il nome di Gesù al mondo. E mi piace iscrivere in questa missione anche l’opera di Stanislaw Grygel: dire a tutti che quel Bambino di Nazareth è Gesù, ossia Dio che salva. E oggi nel cielo ne riceve la conferma personale.
Sono passati trenta giorni dalla sua morte. Ed ora Stanislaw vive in Dio. Con il nostro povero linguaggio terreno – ancora terreno e nel tempo che osa parlare dell’eterno di Dio qui sulla terra – potremmo dire che sono i primi trenta giorni di vita in Paradiso per lui. E’ bene ricordare la sua vita, le sue opere. Ma è ancor più prezioso vedere con gli occhi della fede la sua vita nel cielo, la vita da risorto con i risorti. Il nostro linguaggio è del tutto inadeguato. Ma la fede nella risurrezione della carne ci dice che è comunque una vita “umana”, risorta ma umana. Risorta anche nei sensi. Possiamo perciò immaginarlo con il Signore, con i santi del cielo, con l’amico Wojtyla che certo – il 20 febbraio scorso – stava sulla porta del cielo per accoglierlo, abbracciarlo e, con l’orgoglio del maestro, dell’amico e del Papa, presentarlo al Signore. Lui che lo aveva chiamato a Roma nel 1980 perché, assieme alla moglie Ludmila, lo aiutasse negli studi sul matrimonio, ora lo presenta a Dio perché lo riempia del suo amore. E i due potranno incontrarsi con gli altri amici e amiche della prima ora, quelli dell’impegno nel “dire Gesù” durante il difficile periodo comunista, ed anche con gli altri amici con i quali ha vissuto lunghi anni e non poche battaglie: tutti finalmente assieme a vivere in pienezza quell’amicizia che li aveva legati sulla terra.
Questa Santa Liturgia del trigesimo la sento così, come il dono di uno spiraglio della vita nel cielo. E anche noi in qualche modo ci uniamo, in quella comunione dei santi ch’è un cardine della nostra fede, con quella scena celeste e dire al Signore il nostro grazie per questo figlio che – tra gli innumerevoli meriti -, ha servito questo Istituto, fin dal suo inizio, con generosità e passione. Ne è stato – assieme al cardinale Caffarra e al cardinale Scola -, uno dei fondatori, nell’entusiasmo dell’inizio del pontificato di Giovanni Paolo II con la decisa volontà di Giovanni Paolo II per una Chiesa che si facesse testimone del vangelo ovunque nel mondo. E questo nostro Istituto fece parte di questo grande “movimento” della Chiesa. Personalmente ricordo il Papa che mi parlava di questo Istituto e della sua missione alla quale chiamò anche il giovane professore e discepolo Stanislaw Grygel.
Al termine della Santa Messa il professor Kamposwki, che ringrazio sin da ora, ci offrirà alcune riflessioni sul professore, sul suo pensiero e sul suo servizio nell’Istituto che è continuato, con la direzione fino alla fine della cattedra “Karol Wojtyla”, fino alla fine, consapevoli della preziosità dell’insegnamento di questo Papa. Un nuovo Sinodo sulla famiglia ha spinto papa Francesco ha dare una nuova vita all’Istituto, in maniera analoga a come avvenne alla sua nascita. Non sono mancati problemi in questo momento di cambiamento, come del resto è facile che accada nei momenti dei grandi cambiamenti. Potremmo dire che è parte della vita della Chiesa, chiamata da Dio a comunicare il Vangelo di sempre in maniera che possano comprenderlo gli uomini del tempo, come amava dire san Paolo VI. Con la consapevolezza della presenza operante dello Spirito, che fece dire a san Giovanni XXIII a proposito del Concilio: “Non è il Vangelo che cambia, siamo noi che lo comprendiamo meglio”
Ma oggi è nell’orizzonte della visione di Dio che tutto ricompone che vogliamo contemplare Stanislaw Grygel. E pensarlo come nostro fratello che ci ha preceduti nel Regno dei cieli e come intercessore presso il Padre, mentre noi, ancora sulla terra, conserviamo la sua memoria, cercando altresì di crescere nella responsabilità che fu di Giuseppe, ed anche sua, di continuare a dire in ogni modo, in tutti i modi possibili, in tutte le lingue possibili il nome di Gesù perché il mondo si salvi. Il professore interceda presso il Signore perché, nell’obbedienza a questa Chiesa di Roma, cresciamo nell’intelligenza della fede e nella testimonianza del vangelo del matrimonio e della famiglia.