di FLAVIA AMABILE
Ha subito una brusca frenato il Piano per gli Anziani, in Conferenza Stato-Regioni è mancata l’intesa e ora monsignor Vincenzo Paglia, presidente della commissione per l’assistenza degli anziani del ministero della Salute, dopo le polemiche per la limitatezza dei fondi presenti nella legge di Bilancio e in vista di un cammino tutto in salita per la riforma, chiede alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni di non tradire le promesse fatte in passato.
L’Italia non è un Paese per giovani ma nemmeno per anziani. Il numero di chi non è autosufficiente è in aumento mentre le strutture dove possono essere ospitati è fermo. È un’emergenza che il governo ha affrontato varando un Patto per la terza età che prevede un assegno di 850 euro ma soltanto per chi ha più di 80 anni e un gravissimo bisogno assistenziale e comunque solo per una parte limitata di loro perché non ci sono abbastanza soldi per occuparsi di tutti. Le sembra la strada giusta?
«In effetti non sono presenti fondi per la Legge 33/23 nella legge di Bilancio. Tuttavia, abbiamo conferma ufficiale che per il biennio 2025/26 sono disponibili 1,1 miliardi di euro, in gran parte di provenienza Pnrr, per iniziare ad attuare la riforma: metà di questa cifra andrà sulla sperimentazione della prestazione universale, l’altra metà, grosso modo, sugli interventi di promozione del co-housing, della nuova assistenza domiciliare integrata sociale e sanitaria continuativa, sulla medicina palliativa e sulla medicina digitale (si spera qui con un ulteriore corposo stanziamento)».
La riforma è ambiziosa e ampia, i soldi piuttosto pochi.
«I soldi non sono tutto. Io resto convinto che si debba realizzare una riforma sostenibile, ovvero capace di spendere bene e dove c’è veramente bisogno. Nonostante la esiguità dei fondi, c’è stata lo stesso negli ultimissimi anni, una svolta storica, definita tale dal governo Meloni, quando il 26 gennaio 2023 ha approvato la Legge Delega per le politiche in favore della popolazione anziana, risultato anche del lavoro straordinario fatto dal 2020 dalla commissione che ho presieduto. È stata costruita, fino a diventare uno dei grandi progetti trasmessi dal governo Draghi all’attuale, una rivoluzione copernicana, basata proprio sulla abitazione come luogo di cura, fondata sulla medicina di prossimità, con un finanziamento iniziale che quantificammo – per la prima volta nella storia – in 9,9 miliardi di euro in 5 anni: si doveva avviare un ripensamento dell’assistenza agli anziani non autosufficienti attraverso un continuum assistenziale, l’interoperatività dei sistemi informativi, l’integrazione dei servizi sanitari, sociali e assistenziali, l’assistenza domiciliare come vera presa in carico continuativo, i centri diurni e le cure palliative di accompagnamento, il ruolo delle reti sociali e digitali nelle comunità, senza sradicamento e con grandi risparmi di scala. Vorrei raccomandare a tutti oggi pazienza, tenacia e onestà intellettuale».
Difficile chiedere pazienza, le famiglie sono esasperate. La gran parte degli anziani non autosufficienti sono privi di assistenza e negli ultimi due mesi su 600 strutture controllate dai Nas in 191 sono risultate irregolari.
«È quanto risulta anche dai nostri studi, per questo è necessario bilanciare la assistenza residenziale incrementando in modo sostanziale quella domiciliare e territoriale. In assenza di programmazioni serie, nei decenni trascorsi, e purtroppo anche di seri controlli, sono cresciuti in Italia coloro che hanno iniziato ad occuparsi di anziani con un sommerso che ogni giorno mostra la sua disumanità e la sofferenza di tanti anziani».
Per essere attuata la riforma prevede l’approvazione dei decreti attuativi che sono attualmente in discussione alle Commissioni parlamentari. Teme che potrebbero esserci in questa fase mutamenti tali da limitare la portata della riforma?
«Purtroppo, il decreto legislativo dedicato alla Legge 33/23, ha incontrato un serio problema, a mio avviso da non trascurare, in sede di Conferenza Unificata con le Regioni. È un primo, pessimo segnale, che deve farci riflettere sulle difficoltà nel cammino della legge, che è molto complessa, richiederà tempi di implementazione non inferiori ai 6-10 anni, e soprattutto grandissima capacità di inclusione. Se perdiamo, ancora prima di cominciare, quel minimo di adesione ottenuto in iter parlamentare, come andrà a finire?».
Di che cosa ci sarà bisogno per attuare al meglio la riforma?
«Siamo a corto di risorse umane per implementarla immediatamente, tanto per fare un esempio: sia per quanto riguarda le professionalità sanitarie che quelle sociali. Entrambe sono a oggi gravemente carenti per fare quel che abbiamo già, figuriamoci per la espansione che la riforma richiederà. Ci vorrà tempo! Vedo due pericoli: il minimalismo di chi vuole una riforma a zero investimenti e il massimalismo di chi vorrebbe garantito tutto e subito. Due assurdità, e mi spiego. Le Regioni sono giustamente preoccupate per l’ipotesi prospettata nel decreto legislativo di tagliare la popolazione anziana dai 70 anni in su: una definizione di principio difficile da digerire e, secondo me, impraticabile nella sostanza. Dall’altra alcuni non sono soddisfatti perché lo stanziamento per la Prestazione Universale è previsto per il biennio 2025 – 26 e non in via definitiva e anche questo mi pare assurdo perché si parla chiaramente in questo caso di sperimentazioni da cui dovremo trarre conclusioni serie e rigorose. Ma è evidente che, se queste misure incontreranno il favore dei cittadini e saranno una risposta efficace e sostenibile sul piano dei servizi il governo non potrà che portarle a sistema».
Nei mesi scorsi la presidente del Consiglio Melonile ha promesso sostegno. Pensa che manterrà la promessa?
«Alla presidente del Consiglio e al governo, in questa fase delicata, vorrei dire di non fare del provvedimento un “sogno di parte” ma di accettare con pazienza e inclusività una riforma che sarà, a mio modestissimo avviso, la cifra del suo governo, il motivo per cui sarà ricordato: aver dato a milioni di anziani una dignità e una assistenza decente a casa. Accetti il dialogo con le opposizioni, utilizzi il metodo delle sperimentazioni e con un piano di finanziamenti pluriennale disegni un percorso di realizzazione pieno».